Con questa mostra la Permanente è al suo terzo appuntamento del ciclo di mostre-dossier coordinate e introdotte da Antonello Negri e curate da Silvia Bignami, Maria Fratelli, Marina Pugliese, Paolo Rusconi e Giorgio Zanchetti.
Le rassegne, realizzate con intelligenza critica, si propongono di valorizzare e far meglio conoscere le opere delle Civiche Collezioni d’Arte. In questa occasione vengono, per esempio, proposte sculture, pitture e lavori grafici eseguiti sotto i bombardamenti del ’43 a Milano, al fronte o, con sofferta coscienza, nella apparente calma degli studi.
Il tema è, purtroppo, quanto mai attuale e forse può sollecitare una domanda di senso agli artisti contemporanei. Ancora non si sa quali immagini scaturiranno dai documentari televisivi che hanno replicato all’infinito il crollo delle torri gemelle di New York, ma è certo che alcune delle opere in mostra risultano capaci ancor’oggi di narrare l’orrore.
E’ però il silenzio ad introdurre il percorso, il silenzio interrogativo di Antonino Santangelo nel magistrale ritratto di Guttuso (1943). Ispettore alle Belle Arti e “sottile intenditore di epoche remote”, come scrisse Longhi, l’artista fu personaggio di grande statura morale. Su quest’opera in mostra ci è rimasto il commento di Giovanni Testori, che nel 1981 scrisse: “…chi aprirà la porta che chiude la stanza in cui Santangelo – S.Girolamo medita sul libro mastro della vita? Forse qualcuno che urli: ‘basta! basta!’ (basta al sangue, basta alle stragi, basta alla morte)? O forse, una voce stremata e dolce, come si fa dolce, e stremato il grigio-azzurro dei riquadri di vetro, che dice qualcosa come: ‘pace, pace, mio Dio…’?”.
La mostra prosegue con un ricco percorso che potremmo dividere in due gruppi, che altro non sono se le due principali opzioni linguistiche di fronte al dramma: la documentazione e l’astrazione simbolica o segnica.
Birolli, Bucci, Andreoni, Brevegliati, Bongiovanni ci permettono di rivedere scene di vita in guerra. Ma è in alcune nature morte che il dramma diventa universale, come nell’opera di Ernesto Treccani o nella Natura morta con bucranio di Ennio Morlotti (1942). E pensare che Mafai considerava questo genere un modo di rifugiarsi in un mero esercizio formale, “in un mondo fermo, un modo per sfuggire alla vita”.
Di grande tensione drammatica appaiono anche gli acquerelli di Sironi, la Donna lupo di Birolli o il Bombardamento di notte di Gabriele Mucchi del ’43. Non poteva non toccare più esplicitamente la sfera del sacro un tema come quello della morte, documentato in mostra dalle riletture di Giacomo Manzù della michelangiolesca Pietà.
Il catalogo ben ricostruisce i contesti storico-critici in cui maturarono i linguaggi, gli aspri dibattiti e, in appendice, parte dell’epistolario intercorso tra Bogliardi e Cristoforo de Amicis e tra Cesare Breveglieri e Giovanni Fumagalli.
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Gabriella Anedi
[exibart]
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