Si legge su Wikipedia: “
La parola cocktail appare per la prima volta nell’edizione del 16 maggio 1806 del ‘Balance and Columbian Repository’ che ne dava la seguente definizione: ‘Bevanda stimolante, composta di diverse sostanze alcoliche alle quali viene aggiunto dello zucchero, dell’acqua e dell’amaro’”. A giudicare dalla sensazione che genera, non appena si entra nel grande spazio dell’installazione, la ricetta del cocktail di
Paola Pivi (Milano, 1971; vive ad Anchorage) ha tutti gli ingredienti nelle giuste proporzioni.
Tre sono le fasi per preparare il drink perfetto. Prima, la base, ovvero l’elemento attorno al quale si costruisce la bevanda, la struttura. Qui, la galleria di Massimo De Carlo che, con il suo spazio post-industriale, permette alle nove fontane in acciaio di
It’s a cocktail party di trovare un ambiente funzionale e accogliente, in cui poter godere della sinestesia dell’opera, per farla dialogare con l’architettura, addirittura fino a diventarne parte.
Poi, il colorante, cioè, l’elemento che arricchisce il ventaglio olfattivo e gustativo. Camminando per la galleria, gli odori dei liquidi che sgorgano dalle fontane, ognuno differente per essenza e destinazione d’uso, si mischiano e si fondono; si diffondono, aiutati dal calore che emana dalle pompe che permettono lo scorrere delle sostanze. Avvicinandosi a una vasca, l’afrore che investe lo spettatore non è mai quello del liquido che sta guardando, lo straniamento percettivo è forte, spinge a continuare a muoversi per ricercare il giusto accostamento.
Infine, l’aromatizzante, che migliora il colore e la piacevolezza della bevanda. Nove fluidi per altrettante tonalità cromatiche percorrono la verticalità dello spazio, riflesse nella grigia neutralità dell’acciaio; gli schizzi segnano il pavimento, i colori si mischiano, si mescolano, si contaminano sul bianco della pavimentazione, invadono i vestiti dei visitatori, quando non coperti dagli impermeabili trasparenti forniti all’ingresso, che aggiungono una sensazione tattile all’esperienza, già di per sé multisensoriale, della mostra.
Glicerina, vino rosso, caffè espresso, sapone liquido, olio d’oliva, inchiostro nero, asperula, latte, tonico per il viso avevano già invaso le sale del Portikus, diretto da Daniel Birnbaum a Francoforte sul Meno, risaltando in un contrasto tra l’artificialità delle sostanze che sgorgavano dalle fontane e la semplicità del fiume che circondava la sede espositiva. Ciononostante, anche a Milano, in dialogo con la periferia post-industriale, non perdono la loro forza espressiva e spettacolare.
It’s a cocktail party, cheers!
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BOHH,,,,
enfant prodige?? è del 1971!!! Questo si che è un paese per vecchi...