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Il 5 ottobre Montrasio Arte inaugura la mostra “Eye-Hand Span. The uncertain distance between the eye and the hand” dedicata interamente ad Antonio Ottomanelli, con testo critico di Nora Akawi. Per cercare di inquadrare l’artista e architetto pugliese, classe 1982, si pensi alla sua creazione della piattaforma pubblica IRA-C – acronimo di Interaction Research et Architecture in crisis context – allo scopo di trovare un nuovo strumento per ricercare strategie di carattere urbano e sociale. Personalità molto dinamica dal punto di vista espositivo, si fa conoscere meglio nella città meneghina con la sua prima personale – “Collateral Landscape” – allestita alla Triennale e curata da Joseph Grima nel 2013; espone alla XIV Biennale di Architettura di Venezia e partecipa alla I Biennale di Design a Istanbul. Torna a Milano con questa mostra dal tema sfaccettato e sottile, come si può intuire dal titolo. Qui troviamo una serie di progetti realizzati nei suoi soggiorni in Afghanistan e in Iraq tra il 2011 e il 2014, dove vuole concentrarsi sul processo in fieri della ricostruzione – non solo materiale – dei paesi soggetti a un coinvolgimento bellico diretto, sullo sfondo della tragica data dell’undici Settembre. In queste opere l’idea si fa concetto e poi progetto, che viene materializzato sotto forma di disegno e di fotografia.
Nell’area principale della galleria troviamo un primo corpus di lavori: Mapping Identity, realizzato tra il 2011 e il 2013 nella capitale irachena Baghdad, con alcuni studenti universitari a cui dà il compito di fare un lavoro di ricostruzione di una mappa attendibile della città. Non tutti sanno che la città di Baghdad dopo essere stata bombardata e occupata dagli States dopo la deposizione di Saddam Hussein, non è più provvista di una mappatura ufficiale dal 2003, quando l’esercito americano la traccia per scopi militari e strategici.
Ottomanelli vuole provare a mettere in gioco i giovani abitanti della città, per colmare questo gap, questo senso di vuoto che toglie le radici e fa sentire senza patria. Ed è proprio per questo che fa disegnare delle mappe ad alcuni studenti d’arte dell’Università cittadina, in cui emergono due colori base: il nero simboleggia il passato prebellico, il rosso le modifiche che sono avvenute nel corso del tempo.
Il risultato è un emozionante sistema di ricostruzione dei propri quartieri. Ogni mappa è accompagnata dal testo e dalle foto di Antonio, che con precisione architettonica, crea un percorso visivo molto intenso. Si parla quindi di luogo, che è la radice madre della nostra identità. Eppure, spesso le vicende sociali e politiche ce la strappano, con un gesto freddo che genera una violenza dolorosa. Ma l’artista non vuole parlare solo di identità in senso lato, ma dell’integrazione di un sentire comune – la creazione di una comunità appunto – nella relazione tra quattro elementi complessi ma fondamentali: l’evoluzione tecnologica, l’autorità, la trasformazione demografico-paesaggistica e la vita quotidiana. Ed è a quest’ultimo elemento che ci agganciamo per parlare dell’altra serie di lavori: BIG EYE KABUL, realizzata nel 2014, è un’inversione di significato e di significante tra lo sguardo e la mano, tra il fotografo e il fotografato, tra cielo e terra, tra privacy e pubblico. Ottomanelli fotografa i dirigibili americani che sorvegliano le città afghane – le cosiddette ranocchie – che con i loro occhi elettronici non smettono mai di scrutare, osservare, invadere. Una sorta di investigatore in (falso) incognito. Osservando le fotografie, notiamo come nuotino veloci nell’aria, creando dei notevoli contrasti tra il bianco delle loro strutture e il cielo orientale. Una sensazione estraniante e alienante. Joseph Grima dice: “A Herat li chiamano svergognati perché scrutano indiscriminatamente le azioni di ogni persona […] durante le notti dell’estate, le coppie non fanno più sesso sotto le stelle sui tetti delle case”. Non serve rumore, per fare del male.
Entrambi questi lavori sono stati recentemente vincitori del FOAM Talent Prize 2016. La loro matrice comune è la riflessione tra il complesso e duplice effetto che ruota intorno alla guerra; questa divide, spezza, uccide ma in qualche modo genera un apparato connettivo. Ottomanelli si sforza, senza forzare, di trovarlo tra diverse città, per creare una cartografia delle forze scatenate che si sono susseguite agli eventi del Settembre 2001. La poetica di questi lavori vive della (e nella) tensione che si innesta tra gli equilibri globali e le condizioni identitarie dei luoghi. Un lavoro sottile e grande al tempo stesso.
Micol Balaban
mostra visitata il 5 Ottobre 2016
Dal 6 ottobre al 18 novembre 2016
Antonio Ottomanelli, Eye-Hand Span. Eye-Hand Span. The uncertain distance between the eye and the hand
Montrasio Arte | Via di Porta Tenaglia 1, Milano
Orari: martedì e venerdì dalle 11:00 alle 18:00
www.montrasioarte.com; t. 02.878448
milano@montrasioarte.com; montrasio@montrasioarte.com