Influenze minimal e optical per la prima personale in Italia di
Wade Guyton (Hammond, 1972; vive a New York), a cui è dedicato il piano terra della galleria milanese.
L’artista statunitense non si distacca dai lavori precedenti, focalizzandosi sul concetto di riproduzione meccanica dell’arte. Le sue opere consistono in maxi-stampe su lino di linee elementari. Rispetto al passato sono però le dimensioni a mutare, talmente monumentali che Guyton deve piegare in due il lino per farlo entrare nella stampante. Con un risultato che al contempo infastidisce e incuriosisce: una sottile riga divide in due l’immagine, un guizzo bianco che conferisce discontinuità e un particolare effetto ottico al lavoro. Qualcosa nella macchina s’è inceppato: è l’imperfezione a creare un’attrazione magnetica verso le opere.
Imperfezione che si fa vistosa in
Vibeke Tandberg (Oslo, 1967; vive a Oslo e Berlino), artista nota per i foto-collage degli anni ‘90. Ancor oggi le forbici e la correzione sono il suo strumento creativo privilegiato, permettendole di realizzare nudi con teste di cane o ragazze che piangono occhi. Paradossi del difetto che fanno riflettere sul delicato ruolo della donna e della femminilità.
Centrale la proiezione del video
Loveletter, che dà il titolo alla sua personale, in cui una telecamera resta fissa sulla mano dell’artista mentre questa compone una poesia d’amore. L’ardita composizione delle immagini esposte trova quindi una corrispondenza verbale nella modalità di composizione della poesia, che procede per sovrapposizione, correzione ed eliminazione delle parole.
Quasi nascosta e protetta dal buio del piano interrato è la superba installazione
Triangle of need di
Catherine Sullivan (Los Angeles, 1968; vive a Los Angeles e Berlino), ospitata circa un anno fa al Metro Pictures di New York. L’artista californiana utilizza una sperimentazione ossessiva della performance e dell’interpretazione attoriale per indagare le dinamiche e gli stereotipi della società contemporanea, dalla povertà alle ingiustizie sociali, sessuali e razziali.
Sullivan estrapola scenari classici e ben riconoscibili da film noir, cinema d’avanguardia o storia del teatro, e li drammatizza fino all’inverosimile, facendo esplodere la tensione fra gli attori, giocando sulla reciprocità dei ruoli e sulla tragicità e ripetitività di eventi e azioni. Le scene così rivisitate diventano stereotipi di stereotipi, creando un gap cognitivo sia a livello di contenuti sia di montaggio, lasciando stupefatti. È l’imperfezione magistrale della caricatura.
Carolyn Christov-Bakargiev, futura direttrice artistica di Documenta 2012, ha di recente affermato in una conferenza al Pac di Milano che in arte non esiste differenza tra l’oggetto della ricerca e il linguaggio che la studia, poiché si determinano reciprocamente. È per ciò che quelle che noi percepiamo come “imperfezioni” dei processi produttivi delle opere divengono armi di comprensione di un reale che nasconde, dietro alla sua logica “perfettiva”, notevoli difetti.