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I volti e i corpi, come apparizioni epifaniche fuori dal tempo e dalla storia, “sindoni” postmoderne di presenze-assenze di chissà quale esistenza in bilico tra sogno e incubo di Domenico Grenci (1981) si imprimono nella memoria, ti ipnotizzano e restano lì stampati sulla retina dell’occhio: sembrano riemergere dal mistero.
Nella Nuova Galleria Morone, nel cuore delle “Cinque vie” di Milano, seducono Johanna, Irina, Sasha, Agnes, Ula e altre conturbanti femme fatale della mostra, intitolata “I’ll be your mirror”, come la canzone del 1967 di The Velvet Underground & Nico, a cura di Sandro Parmiggiani. Queste “vergini suicide”, ammantate di ambiguità, dai tratti eterei e dallo sguardo inquietante, evanescenti e languidamente perverse, sono dipinte con bitume, carboncino, olio su tela, su carta e sanguigna tra il 2013 e il 2015. Grenci stratifica, incastra piccoli e grandi frammenti di carta apparentemente invecchiata, lacerata, seppiata, forse trovata sotto la cenere di qualche incendio domato, sfidano il tempo. Le sue immagini sono soliloqui ansiosi e silenti, espressioni di stati psichici, immobili nella loro irrequietezza. Ritratti di ambigue illusioni sospese tra composizione e decomposizione, vigore plastico e fragilità emotiva. Alcune “Teste”, opere su carta ricomposte con due o quattro fogli accostati, di ritratti frontali o a trequarti, sembrano riemerse da una polverosa memoria, come pura visione.
Sono volti dai segni marcati, dallo sguardo espressivo, penetranti in cui le ciglia, la forma delle sopracciglia, l’ovale “boticelliano” o “peruginesco” del volto, le labbra sottili simili a quelle della Giuditta (1900) di Gustav Klimt, macchie nere dense come il bitume, poi la massa di capelli scuri, tentacolari, le narici più o meno adombrate da giochi chiaroscurali, sfumature, contrastano con il colore diafano dell’incarnato di queste ermetiche apparizioni femminili dal velato erotismo. Dominano lo spazio della galleria Tete (2015), un grande collage su carta (cm 300×294), una donna dallo sguardo perforante su un volto ottocentesco da Cammeo, reso vibrante da una massa ondulata di capelli: una moderna “Medusa” che piacerebbe a Egon Schiele, Frantisek Kupka. Un’opera tenuta insieme da carte sfrangiate, per ricostruire l’unità dell’immagine. In questa carrellata di dark lady, incanta Ofelia (2015), l’unica opera-scultura appoggiata sul pavimento, ispirata all’ immaginifico dipinto preraffaellita di John Everett Millais del 1851-52, in cui l’immagine del corpo esangue disteso nell’acqua, trascinato dalla corrente, senza vita, galleggia leggero come una foglia e si lascia risucchiare dal mistero dal quale è venuta, la proteggono le foglie e i fiori che la “incorniciano”. La dove c’è un volto, una figura, e poco importa se reale o immaginaria, c’è un presupposto d’identità dietro il disegno maturo di Grenci, c’è traccia di un mondo e di un modo di sentire la pittura come materia: la sostanza poetica della sua ricerca.
Jacqueline Ceresoli
mostra visitata il 21 gennaio
Dal 21 gennai al 19 marzo 2016
Domenico Grenci, I’ll be your mirror
Nuova Galleria Morono,
via Nerino 31-20123 Milano
Info: www.nuovagalleriamorone.com