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fino al 19.IX.2004 Kim Sooja – Conditions of Humanity Milano, Pac
milano
L’arte –e l’artista- come un ago. Per riparare, guarire, avvicinare. Filosofia orientale e arte occidentale. Tessuti tradizionali e video. È il minimalismo esistenziale di Kim Sooja. In equilibrio tra sublime immobilità e incessante divenire…
Il connubio tra Oriente e Occidente è sicuramente una peculiarità dell’opera -ma anche della personalità- dell’artista coreana Kim Sooja, recentemente approdata ai lidi del PAC.
La filosofia orientale e le religioni della cultura coreana – confucianesimo, buddhismo e sciamanesimo, nonostante lei provenga da una famiglia cattolica – emergono prepotenti in ogni opera, dove la calma poetica della meditazione ed una lenta ma determinata trascendenza creano un’aurea che difficilmente non contagia.
All’ingresso Mandala -opera del 2002- accoglie imperiosa e ieratica, nonostante appaia di piccole dimensioni e quasi giocosa: installata sull’immensa parete dipinta di un blu elettrico, emana flebili suoni riconoscibili come canti di monaci tibetani, che stridono a prima vista con quello che è un vero e proprio coloratissimo jukebox speaker.
Il vero fulcro dell’allestimento milanese sono le due “stanze” centrali, dove vengono proiettati i lavori forse più coinvolgenti dell’artista, la serie di video A Needle Woman (1999-2001). Quattro grandi proiezioni per ogni spazio: la macchina da presa proietta improvvisamente lo spettatore in un ideale incrocio tra strade, culture, persone completamente diverse tra loro, eppure così simili. Kim Sooja sta in piedi, ritta come un ago, gli abiti neutri, voltando le spalle a chi guarda. La linea immobile dei suoi lunghi capelli, raccolti in una ferma retta castana, sembra essere la colonna portante di tutta l’immagine. La sensazione vertiginosa è di essere contemporaneamente a New York, Tokyo, Londra, Mexico City, Il Cairo, Delhi, Shanghai e Lagos.
In queste immagini emerge chiaramente l’intento di Kim Sooja di diventare essa stessa ago, in una sorta di ideale trasposizione dell’atto del cucire. Ma c’è anche, molto importante, quella componente di astrazione dal ‘qui ed ora’ che ci riporta alla filosofia orientale, zen: “All’inizio delle performance […] era molto difficile resistere alla forte energia proiettata dalle persone che camminavano verso di me per strada dice “ ma dopo qualche tempo riuscivo a concentrarmi e il mio corpo si liberava dai loro sguardi, diventava sempre più leggero. E io iniziavo a sentirmi sempre più sottile, come un foglio di carta, sempre più libera. Anche l’ago scompare quando si cuce: serve solo come strumento per riparare, guarire o avvicinare, ma alla fine non esiste…”
L’artista tende a diventare invisibile, puntando verso uno stesso distacco contemplativo, sia che si trovi in spazi urbani che in ambienti naturali; si vedano ad esempio i video in mostra A Laundry Woman, Yamuna River (Dehli, 2000) e A Needle Woman, Kitakyushu (1999), dove l’artista persegue forse un desiderio profondo di “riconciliare l’immobilità perfetta e il moto perpetuo” (Julian Zugazagoitia, Incantesimo alla presenza).
A Laundry Woman (2000-2003) -enorme distesa di copriletto coreani agitati dal soffio leggero di alcuni ventilatori- si snoda lungo tutto lo spazio prospiciente la luminosa vetrata, raggiungendo così un risultato davvero straordinario: la luce che inonda gli spazi si riflette, attraversa, riverbera sulle stoffe multicolori a seconda dello spessore e dei fitti ricami che ricoprono i tessuti. In questo lavoro forse più che in altri riemergono la cultura e le tradizioni cui l’artista è molto legata: il copriletto è un oggetto molto importante, il cui valore affettivo e quasi sacrale dipende dal fatto che a contatto con esso si nasce, si ama, si dorme e si muore. Un momento molto importante, per la tradizione coreana, è il dono del copriletto alle coppie di sposi, ad augurare felicità, fertilità, lunga vita insieme. L’importanza di tutti questi aspetti si coglie nel momento in cui si considera la speciale provenienza di tutte le stoffe che Kim Sooja utilizza per i suoi lavori. Si tratta di tessuti usati.
In questo senso quindi è chiara l’importanza dell’oggetto “già usato”, dunque non semplicemente “già fatto” (already-made/ready-made), e del lavoro svolto dall’artista sulle preesistenze, sui fantasmi degli oggetti e la loro aurea, nel tentativo di trasformare “l’invisibile in un’esperienza condivisa” (Nicolas Bourriaud, Intervista).
Lungo la balconata del primo piano altri video: Sewing into Walking (Istanbul, 1997), A Beggar Woman (Mexico City, 1997; Cairo, 1997; Lagos, 1997), A Homeless Woman (Cairo, 2001; Delhi, 2001) concludono un’esposizione che, tra le prime in Italia dell’artista, permette di coglierne appieno la poesia e l’intenso fare.
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saramicol viscardi
mostra vista il 24 giugno 2004
Kim Sooja Conditions of Humanity
Ideatore del progetto Thierry Raspail, Direttore del Musée d’Art Contemporain de Lyon
Edizione italiana a cura di Jean-Hubert Martin, Direttore Artistico Pac di Milano
Padiglione d’Arte Contemporanea
Via Palestro, 14 20100 Milano
T. +39 02 76009085/20400
segreteria@pac-milano.org
www.pac-milano.org
ingresso libero, orario estivo: dal martedì alla domenica h 9.30/17.30, giovedì h 9.30/21.00
chiuso il lunedì
mezzi pubblici MM1 Palestro
autobus 61- 94
tram 1 – 2
[exibart]
Questi “Bottari” di tessuto variopinti, cuciti tra sospiri, gesti quotidiani e rughe di done sconosciute; ricamati tra lucenti e ombrose pieghe, infine anodati da mani di madri invisibili, appaiono silenziosi e sospesi nelllo spazio senza tempo e confini.
Nella loro fisicità profumano di vestito di sogni da cui proviene un caldo e intimo odore di vita. Quale mistero è celato dentro di essi?
Forse, la condizione sociale e umana delle donne del mondo, il loro destino; o nascondono, le tracce indelebili della memoria di tante perrsone sconosciute, vissute nel passato, ma che vivono ancora nel nostro presente quotidiano, ci sono note come se le avessimo sempre conosciute: le contadine coreane che stringono ancora a loro petto quel fagotto imbottito di gioia o di dolore, di ricordi e di speranza. Oppure, rappresentano il fagotto sulle spalle dei poveri delle grandi città, alla ricerca del proprio destino. Tutta quest’umanità è legata ad un fragile e solitario filo di tessuto, che è poi la nostra transitoria condizione di vita sulla terra: che è, come quell’attimo in cui il filo attraversa la punta dell’ago, per scomparire nella tela misteriosa della vita.
Savino Marseglia