Quando si scrivono parole su Giuseppe Scaiola (Cairo Montenotte, Savona, 1951) è inevitabile farsi frizionare, in mente perlomeno, da immagini agitate. Da polveri colorate che a loro modo, nello spazio della tela, trovano pittura e conforto. Per chi è attento, estimatore o per chi, comunque, qualche volta, ha notato i lavori di Scaiola, davanti agli occhi prenderanno a scivolare agglomerati pittorici che vibrano sempre più veloci.
Le tele in mostra sono la concretizzazione, volutamente ripetitiva, di quest’esistenza rapida. Una presenza sintetica dell’unità natura-arte, perfettamente condensata e lasciata a decantare come artificio del pennello. Per questa personale, la visione antropologica viene abbandonata e ci si sposta invece verso l’altra parte, nell’altro riflesso. Quello rimasto dietro lo specchio. Lì dove l’immagine del ritmo è il ritmo stesso, senza intermediazioni allegoriche, o peggio, simboliche. Senza dunque discorsi di maniera.
Già da fuori, dalle ampie vetrine della galleria, l’effetto delle girandole che impazzano al centro delle tele fa da azione di risucchio. Lo sfondo dei lavori esposti è sempre una base satura di colore acrilico steso teso e terso. A volte sono i gialli ocra, altre volte i bianchi avorio, altre volte ancora i rosso-lacca e i viola-iris a preparare il terreno pittorico. Ma al centro di ogni tela, Scaiola incastona nidi energetici di pennellate e colature dripping. Fuori da queste esplosioni, presumibilmente ancestrali, si stende la quiete. In mostra, i rosoni rigonfi e cangianti variano dai toni degli azzurri, ai verdi acqua e ai rosa, formando un’onda ipnotica. In questo modo, la serenità compositiva e bilanciata degli sfondi viene dunque perturbata da queste rappresaglie variabili di colore. Nel grande formato, il pittore ligure si libera maggiormente dello spessore materico che accompagna l’accumulo rapido delle pennellate astratte. Quelle lasciate nell’ombelico di ciascun quadro. Le forme di questi baricentri variano di volta in volta, cambiando persino le proporzioni all’interno degli spazi pittorici. E forse contaminandosi anche a vicenda.
I gomitoli che racchiudono tutte le tracce scarmigliate a volte si allungano e altre volte si intrecciano a simboleggiare l’infinito. Mentre molte volte ancora, questi si assottigliano agli orli per lasciare intravedere il colore che li supporta e li mette in risalto. Scaiola, infatti, quando dipinge utilizza ogni singolo centimetro a disposizione. La tavolozza sembra fagocitare tutto, ribaltando il rapporto tra la causa della pittura e l’effetto dell’oggetto di rappresentazione. Sembra infatti che il moto inflitto dalla mano dell’artista sia qualcosa di più netto e caotico della stessa volontà di portare a compimento una tela. E alla fine, anche a chi rimane minuti interi davanti a questi quadri, magari tentando di capire, non gli resta invece che seguire. Seguire, con l’occhio, i vettori delle pennellate che a volte scappano e a volte fanno ritorno, cadendo da o verso un disturbatissimo punto di fuga. Esattamente, forse, come all’origine della vita.
ginevra bria
mostra visitata il 3 Maggio 2007
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