L’avevamo lasciata al Padiglione svizzero della Biennale del 2007, nella cornice dei Giardini. Ora ritroviamo
Christine Streuli (Zurigo, 1975) nel più intimo spazio della Galleria Monica De Cardenas, con un gruppo di dipinti appositamente realizzati per lo spazio milanese.
Protagonista, ancora una volta, il colore dalle tonalità aggressive, sgargianti, che si propaga sulla tela come in seguito a un’esplosione energetica. Il processo che conduce a realizzare simili immagini potrebbe essere verosimilmente accostato al lavoro ritualizzato di un mandala, per il quale sono richieste ore di applicazione monotona e meticolosa per produrre una composizione
multi-part, in cui un medesimo elemento è ossessivamente ripetuto. La simmetria è qui il principio compositivo dominante, che introduce un piacevole elemento strutturato nella turbolenza diffusa, quest’ultima fortemente debitrice verso il linguaggio
low dei graffiti e dei
tattoo.
Georges Didi-Huberman non ha mancato di rilevare un sotterraneo ma fungente legame con la pittura della caverne, che lo storico dell’arte ha definito “
tocco di assenza”,
in virtù della natura dialettica dell’immagine primitiva, la quale mostra simultaneamente “
un tocco che rende visibile” e l’assenza della persona che del tocco si è fatta portatrice.
La pittura di Streuli, spontanea e meditata, emozionale e riflessiva a un tempo, è stata spesso interpretata secondo una duplice chiave di lettura, che non è da riferirsi esclusivamente al prodotto finito, bensì a ogni singolo elemento dell’immagine. Si legge in questa direzione il conflitto estenuante fra la regolarità degli elementi seriali insistentemente ripetuti -intrecci, losanghe, nodi, girali, perline di collane- e la sregolatezza di macchie, sgocciolamenti di colore, segni che incidono traiettorie casuali e sfrenate.
Griglie, moduli, geometrie dal ritmo serrato trovano così il loro contraltare in un’irrazionalità che l’artista getta con urgenza sulla tela, avvalendosi di un colore che si fa autoreferenziale perché decorativo, puro ornamento, elemento artistico in sé e per sé. Le tecniche indirette a cui l’artista svizzera ricorre (stampi, spray, decalcomania) relegano il pennello a un ruolo marginale e strizzano l’occhio alle opere di artisti come
Andy Warhol,
Frank Stella,
David Reed, che esibiscono elementi spersonalizzati, seriali, modulari.
Di fronte a un quadro di Streuli ci sentiamo sfidati a leggere, a decodificare ciò che vediamo, consapevoli che la nostra visione non è innocente né oggettiva, e che noi stessi ne siamo consciamente o incosciamente responsabili. Proprio in questo senso, le opere di Christine Streuli si presentano come una sfida. Non resta che raccoglierla.