Bisogna solo augurarsi che, al momento della visita alla personale
Snow, fuori non imperversi una netta, perpendicolare e canicolare (dunque prettamente estiva) giornata di sole aperto. Altrimenti, entrando in galleria, la luce esterna richiederebbe allo sguardo dell’impreparato visitatore uno sforzo ingiustificabile nei confronti della definizione e della messa a fuoco, azioni entrambe impossibili nel contrastare il lucore tautologico e niveo prima irradiato, poi espanso e infine emesso dai lavori esposti, bianco su bianco.
Come a seguire una silenziosa, forse meglio taciturna protesta visiva, le fotografie di
Nikola Uzunovski (Belgrado, 1979) non vogliono far vedere nulla. Prive di qualsiasi riferimento con le forme, con le gradazioni, le modularitĂ e le incostanze che determinano i confini fra interno ed esterno, le immagini racchiuse dalle fotografie
sono il niente; appartengono all’inconsistenza, quasi fossero state create per rimanere lì, sospese nel vuoto steso e rappresentato dal bianco incostante. Quell’enorme macchia lattea che si ripete di volta in volta nell’identico.
All’interno di quel che vogliono dire, queste ultime fotografie smettono di significare per diventare mappa inverosimile di una uniformità distogliente. Catturate in diversi luoghi visitati dall’artista, le fotografie che compongono la serie
Snow rimangono come se nulla avesse interferito con la difformità della quale sono portatrici. Ognuna di esse, infatti, è identica all’altra. Al momento dello scatto -ripetuto in scenari nevosi dal 2005 al 2008- l’artista serbo trasforma le proprie esperienze di viaggio e di abbandono in un linguaggio che consegna allo spettatore la chiave d’accesso assoluta alla fantasia.
Uzunovski ci guida nei propri universi spazzati dai ghiacci, facendo disperdere il pensiero dietro l’occhio che guarda. Quello stesso pensiero che, dopo qualche minuto di concentrazione sul quadrato bianco, a sbalzo rispetto al candore dell’intonaco, sperso in un labirinto senza veli e senza pareti, rianimerà (si spera), nell’intimo di ognuno, la vera realtà rappresentativa della narrazione scopica.
Abituati a essere subissati di cose da vedere, da tastare con gli occhi, cose da rincorrere e da trovare il piĂą appetibili ed esistenti possibile, spetterĂ ai veli sovraesposti dei bianchi di
Snow farci dono della non-visibilità . Stampati su carta fotografica bianca, questi soggetti spariranno, intatti, interi all’occhio di chi continuerà a vedere memorie e nostalgie, senza abbandonare il piglio scettico che, nei più frettolosi, potrebbero suscitare.
Dunque, prive di ogni maltrattamento formale, queste composizioni, mai perfettamente astratte né mai eccessivamente figurative, scombinano il linguaggio dell’epifania estetica, disperdendolo in un campo libero dove desideri, improvvisazioni, ricordi, provocazioni, malumori e nostalgie possono trovare il giusto piede e lasciare gradita traccia, imperterrita impronta. Ovviamente bianca o, in alternativa, indistinguibile.