La galleria Kaufmann è ormai alla terza produzione di una mostra interamente dedicata a
Gianni Caravaggio (Rocca San Giovanni, Chieti, 1968; vive a Milano). Senza nulla togliere al piacere riservato a proposte inattese o insolite, questo appuntamento per neofiti della materia, per osservatori della gravità – quella vinta dal pensiero – rivela anch’essa, inaspettata, una piacevole impressione di cambiamento.
I due fattori che permettono ancora un velo di meraviglia sono tanto una visibile riduzione dei volumi cubici delle installazioni quanto, piuttosto, una differente complicità dei tre ambienti nei quali la mostra è allestita. I tre spazi separati, e complanari e paralleli, offrono questa volta una ciclicità tematica regolare che accompagna tutto il percorso di visita, amalgamandolo. A colpo d’occhio questa personale, rigorosamente e nuovamente creata site specific per il progetto dello
Start milanese (l’opening collettivo di tutte le gallerie), decide dunque di non definirsi attraverso alcun titolo per non marcare in maniera indelebile ed eccessivamente terrena lo sguardo del visitatore.
Nessun concetto quindi e nessuna conseguente parola significante sono utili a presentare la ricerca formale delle opere in mostra, incentrate su una sorta di rappresentazione astratta e aprioristica dell’origine. Incentrata sul fare operaio e operativo dell’arte, la mostra si propone l’obiettivo, di notevole ambizione, di indagare il potere scaturito dall’inizio. A partire da un’origine mitica, da quel principio creatore che, come nel platonico mito del Demiurgo, se plasmato diventa azione ordinatrice, i lavori di Caravaggio si pongono come testa di ponte tra il mondo caotico delle idee e la risposta terrena alla concretezza della materia.
Nell’ordine,
Principio,
Attendere un mondo nuovo II,
Lo stupore è nuovo ogni giorno,
Rivelatore di coppie e
L’iniziatore sono i titoli scelti dall’artista abruzzese per innestare di parole umane le composizioni materiche in galleria. All’interno di questo flusso di rimandi e concetti, la pratica linguistica dell’intera personale restituisce alle opere esposte una temperatura meno scarna e di maggior intensità astratta rispetto ai precedenti solo show.
Se, quindi, forme ottagonali, disegni, tubi in alluminio, gesso, carta, farina e marmi sembrano riempire solo alcune porzioni di stanza, l’intenzione associativa ed esploratrice che lega le sculture installative assume su di sé una riflessione interiore che non ha più nulla a che vedere con un riflesso formale e con le scelte caravaggiane di ideazione reale. Grazie agli scambi tra organico e inorganico, tra la luce e il buio, tra il paesaggio e il suo mistero, la posizione dei materiali, spinti verso terra, si sottrae alle leggi che intaccano la prevedibilità della superficie.
Non sarà difficile, infine, per chi volesse addentrarsi in un bosco di simboli e segnali che escludono qualsiasi ombra di banalità, potersi concedere il lusso di visitare questa personale senza perderne le intenzioni e le origini-originali.