I 43 disegni del Taccuino di Possagno, insieme al Taccuino originale, ad alcuni fogli originali staccati provenienti da Museo Correr di Venezia e ai disegni provenienti dal Museo Civico di Bassano del Grappa, sono i protagonisti della mostra inaugurata il 29 settembre al Museo Minguzzi di Milano.
Il Taccuino è stato acquisito dalla Fondazione Canova di Possagno nel 1944, successivamente fu visionato dai professori Adriano Mariuz e Giuseppe Pavanello e pubblicato integralmente nel 1999.
Questi disegni costituiscono un esempio importante non solo perché sono stati ben conservati, ma perché consentono di approfondire lo studio su questo grande protagonista della stagione neoclassica, considerato l’ultimo artista italiano di dimensione europea, e di scoprire un “Canova ignoto”, per usare le parole della studiosa Elena Bassi, un Canova più libero e spontaneo che va oltre all’immagine dello “scultore neoclassico per antonomasia”.
Questo aspetto dell’opera di Canova è particolarmente visibile nel foglio n. 50 in cui l’uso della linea farebbe pensare ad un disegno dei primi del Novecento, difatti non a caso questo disegno è stato scelto per la copertina del catalogo.
Inoltre, la scoperta di questi fogli come studi preparatori di alcune tempere realizzate successivamente, ha permesso di datare queste ultime in maniera più precisa: agli inizi nell’Ottocento e non agli ultimi anni del Settecento, alcuni esempi di studi preparatori sono la serie di “Danzatrici”.
Nel 1806 scolpirà il modello in gesso di “Danzatrice con le mani sui fianchi”, successivamente, nel 1809, concretizzerà nella “Danzatrice con il dito al mento” l’idea del foglio n.37 ed infine citiamo l’esempio del foglio n. 6 raffigurante una “Figura femminile afflitta” ricollegabile alla figura femminile che simboleggia l’Italia nel “Monumento di Vittorio Alfieri” (1805).
L’ultima considerazione sull’importanza di questi disegni è riferita al rapporto tra Canova e l’arte antica: disegni come il foglio n.10, raffigurante un terzetto di guerrieri in atto di difendersi con due figure femminili inorridite dalla scena, sono una trascrizione del rilievo di un’urna cineraria etrusca, da cui lo scultore attinse attraverso i volumi del “Museum Etruscum” che possedeva.
In questo modo si scopre che Canova andava oltre allo studio dell’antichità greca e romana, ma parte da un linguaggio più arcaico, quello etrusco, per arrivare ad un nuovo linguaggio figurativo espresso in questi disegni, costituito da linee che danno l’idea del dinamismo e del movimento e che sembrano “grovigli o matasse di fili metallici scossi da una scarica elettrica” precorrendo addirittura l’arte cinetica (Mariuz – Tavanello).
Giusy Checola
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