Ci vuole poco a farsi una brutta nomea. A Franko B sono bastati certi trascorsi artistici e l’aspetto stravagante per far storcere il naso ai benpensanti quando la galleria Pack e la Lipanjepuntin hanno deciso di affidargli la curatela dell’ultima mostra: Long live romance part II, in corso a Milano e a Roma. Chi si aspettava lo splatter è senza dubbio rimasto deluso: si è parlato di poesia. Una rosa di giovani inglesi emergenti. Provenienza e temi comuni, media differenti. Discorsi sulla morte, l’amore, la sessualità -vissuta in maniera tragica- e infine i ricordi. Affrontati con contegno britannico che tanto ricorda, nelle tematiche e nelle maniere, gli artisti della Young British Art, superati nel radicalismo delle scelte estetiche, quanto nella trama narrativa delle opere. Che si tinge di nostalgia nel racconto di Lady Stubbs, che raduna ritagli di vita e di memoria, oggetti, disegni, pitture, raccolti fin dall’infanzia, organizzandoli in installazioni ribelli, assemblate per automatismo. Di sangue pagano, invece, le sculture di Keran Brown. Incontri occasionali tra corpi, che alludono alla perdita, e la tecnologia, fino alla produzione di macchine celibi, marchingegni sofisticatissimi, seppur inutili, idoli della postmodernità.
Un percorso appassionato che prosegue con la pittura di Reuben Murray che si dà alla descrizione ossessiva, ai limiti del didascalico, di patologie infantili, con un segno che rievoca i disegni esplicativi delle enciclopedie mediche anni Sessanta, quando la fotografia a colori non era certo il medium più diffuso. E che nel riportare l’immagine della sofferenza, con tinte acide e scioccanti, si raffreddano, perdendo qualsiasi morbosità. Più contorto il lavoro di Kris Caravan, scatti tratti da performance in cui mette a nudo una visione angosciante del sesso. Crudezza scongiurata immediatamente dalle sculture inclini al design di David Rickard e dal video, pezzo forte della mostra, di Anna Thew. Cronaca in due tempi, andante e allegro, raccordati dall’utilizzo televisivo di tendine che bipartiscono lo schermo e favoriscono contrasti cromatici e semantici, accostamenti di ritmi differenti, creando sensazioni contrastanti e distorsioni di senso.
Un’apologia del romanticismo, quella orchestrata da Franko B. La morte, la carne e il diavolo. In cui l’orrore delle malattie, del dolore, della fine, viene stemperato in un’estetica macroscopica in cui ciò che è maledettamente crudele, è al contempo misterioso e affascinante.
Attrae, in una logica perversa, ma anche stringe il cuore. Commuove, nella corrispondenza di amorosi sensi possibile tra il riguardante –vivo- e il corpo esanime. E così, in una sorta di trance, da ciò che è torbido si arriva allo spleen, un viaggio all’interno dell’io, l’enorme duello con Dio e la società. Sfidata, infine, anche da Franko B, che ha insegnato, con le buone maniere, quelle dell’arte, quanto il pettegolezzo sia una cattiva abitudine.
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oh, ma guarda questa qua, si chiama pure come noi... ma che fa, piglia in giro? ma come si permette di chiamarsi così? fammi parlare con chi so io...
complimenti franko !!!