04 novembre 2005

fino al 19.XI.2005 Micol Assael Milano, Galleria Zero

 
Carte, ricordi, frammenti del passato. Viaggi. Numeri che si fanno interpreti dell'assoluto. Concetti al di là del tempo dello spazio. Una ghiotta cabala dai risultati poco entusiasmanti. Nel mirino? Micol Assael...

di

Alla corte di Re Massimo De Carlo avvengono fatti strani. Pare che il vassallo Paolo Zani, della Galleria Zero, contravvenendo alle norme del buon costume di via Ventura, abbia inscenato nel suo spazio una mostra in grado di lasciare tutto il pubblico della Milano dell’arte esterrefatto. Sotto accusa, Micol Assael. L’artista, già premiata -e bersagliata- con la sua presenza all’ultima Biennale di Venezia, come sempre crea grosse aspettative. E spesso le delude. Con opere che partono da altissime pretese e vanno ad eclissarsi nel baratro di una faciloneria all’amatriciana. Che si concretizza nel remake di istanze di natura estetica già ampiamente digerite e storicizzate dal pubblico più edotto. Tuttavia con l’avallo di uno stuolo nutrito di (a)critici e di santi in paradiso pronti a rigonfiare il grande bluff ad ogni foratura. Ad attaccare le toppe quando serve. Questa volta Micol s’improvvisa Kurt Schwitters o Joseph Cornell -che dir si voglia- e, raffreddandone i bollenti spiriti, si dà alla compilazione diligente di collages di frammenti del suo passato. Un’esistenza trascorsa in aereo. Per hotels. In viaggi da sogno. Durante i quali, questa signorina di ottima famiglia, dalla vita movimentata, raccoglie le carte dei ricordi che assembla, ricoprendole dove può di piramidi di numeri vergati a biro in versi sciolti. Forse tratti dalla Cabbalà ebraica, tradizione di cui la giovane fa organicamente parte. Forse da speculazioni filosofiche ardite.
Sta di fatto, però, che da questi environments risicati, lo spettatore dovrebbe riflettere sul valore assoluto del tempo, visto come intervallo tra lo zero e l’infinito. Disegnarlo come un continuum -contrario alla più contemporanea versione del presente perpetuo di Fredric Jameson– in cui le coordinate sono calcolate grazie ad una mappatura di punti -spostamenti- tracciati dagli eventi nello spazio. Ci si chiede come ancora la vocazione al minimal-chic possa essere pretesto per agglomerare paccottiglia da trasformare, con spericolate operazioni alchemiche, in pietra filosofale. Un bel calcione alla postmodernità, quindi, e passa la paura. Quando tutto manca si può batter in ritirata e chiaccherar sulla globalizzazione. Attaccarsi all’Arte Povera. Al Minimalismo. E, perchè no, su su fino al Dada, al Surrealismo, al metodo paranoico-critico della rava e la fava. Tutto fa gola nel gran crogiuolo del citazionismo. E al primo accenno di crollo, si ripara in quel postmoderno mal digerito nel Bel Paese, travisandolo in una raffazzonata ribollita. Ma va così.
Quel Montale che disse “Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo” recitò davvero, involontariamente, il te deum della coerenza, un flagello alquanto demoralizzante della nostra età. Coerenza che va a farsi benedire, soprattutto, quando una galleria come Zero, dalle alte aspettative in quanto a ricerca ed arte giovane, si presta a perpetrare reiterate bolle di sapone. Spacciandole per…

santa nastro
mostra visitata il 7 ottobre 2005

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Micol Assael – Free fall in the vortex of the time
Dal 7 ottobre al 19 novembre 2005
Galleria Zero, Via Giovanni Ventura 5 (20134 – lambrate)
Milano +39 0236514283 (info), +39 0299982731 (fax)
info@galleriazero.it www.galleriazero.it
da martedì a sabato 12–19.30


*non è stato purtroppo possible ottenere alcuna immagine della mostra

[exibart]

31 Commenti

  1. La galleria zero fa un autogol pazzesco. peccato lo spazio e la gioventù facevano sperare…questione di affitti?

    la mostra è civetteria dell’arte.
    la recensione è virulenta, risentita, mestruale ma puntuale, accurata, chirurgica.

  2. zero in questi anni non ha mancato di proporre cose ottime, chiunque può sbagliare, anche paolo zani. micol assael non ha mai eccelso, spiace vedere mostre di questo livello in uno spazio che ha sempre ben proposto qualità. il progetto non andava esposto. serva all’artista questa riflessione per riflettere su ciò che propone, basta scorciatoie. alla galleria sia utile momento per interrogarsi sul proprio operato.
    sgradevole la mancanza d’immagini, forse dettata dalla volontà di non sottoporsi alla critica. se così fosse zero mancherebbe in stile ed, ahimè, professionalità.

  3. Gente come Jasper Johns, o anche Shirin Neshat, o Eija-Liisa Ahtila, restituirebbe il premio della Biennale di Venezia, solo sapesse che la NOSTRA vi ha partecipato già due volte…

  4. Non ha poi cosi’ tanti santi in paradiso se escono queste righe. Articoli cosi’ “vociani” (benvengano quando fondati) non andrebbero secondo me firmati da una persona: sembra se no una questione personale per nulla privata.
    Vi ricordate Lerner che sventolava il foglietto con il nome di un raccomandato rai? Patetico.
    Se non risulta chiaro dall’articolo scalmanato lo dico io: la condizione ebraica non inficia la qualita’ del lavoro di Micol Assael.

  5. Questo è il bello dei commenti in calce di Exibart: altrimenti come ce lo saremmo potuti tolgiere lo sfizio di spernacchiare un’artista inutile e superpompata come la Assael.

  6. la volete sapere la tristezza qual’è? che gli estimatori della wonder girl di cui sopra questo articolo non lo leggono…loro leggono la Vettese o quell’altra gatta morta di Gabi Scardi…quando leggono naturalmente.

  7. Cara Santa, ti ho già fatto i complimenti per la disamina lucida e coraggiosa, ma devo aggiungere una postilla… oltre che per l’indipendenza di giudizio, una lode va indirizzata al potere “liberatorio” che sembra connesso al tuo testo, a giudicare dal sollievo espresso da alcuni commenti… mi sembra che tu abbia dato la stura a una sorta di rito collettivo! su le tapparelle! spalancare le finestre! questo vento arriverà anche dalle mie parti?

  8. Sinceramente a me non sembra granche’ questa recensione, non si capisce niente… Tanti paroloni che girano su se stessi senza arrivare veramente ad un punto, boh? Contenti voi. A me pare che lo sport preferito dai giornalisti di exibart sia diventata la stroncatura fine a se stessa, tanto per farsi osannare come paladini della qualità, ma e’ tutto fumo negli occhi. Ma che vuol dire “faciloneria all’amatriciana”?! e “metodo paranoico-critico della rava e la fava”, ma stiamo scherzando?! Io che non ho visto la mostra con questa recensione non ci faccio nulla, ne’ mi vien voglia di andare a verificare ne’ di non andarla a vedere. E questo lo chiamate “servizio”? Un po’ piu’ di serietà gioverebbe a tutti, meno ironia ma piu’ sostanza…
    cordialmente
    Stefano

  9. Oh, ma ccom’è che ci troviamo sempre fra i piedi ‘sto ferdinand, dove c’affacciamo noi, zacchete… ah, ma è passato il terremotoooooo?! Noi non vogliamo disturbazioni…

  10. ohi stefano, le recensioni sono per chi ha finito la terza media e DOPO ha letto almeno tre libri (non valgono i manuali di telefonino e playstation)…fai un po’ quel che ti pare, cioè niente.

  11. Caro Stefano
    di parole se ne sprecano tante, continuamente, ma rispondere a lei è davvero una perversione… introduce concetti “alti” come “paroloni”, poi ci cade sulla “stroncatura fine e se stessa”… si tranquillizzi, la stroncatura è oggettivata fin dal titolo, che ne indica chiaramente l'”oggetto”, ovvero il “fine”… è la stroncatura delle sue deliranti parole che è, ahinoi, tremendamente “fine a se stessa”.
    Un saluto, e legga, legga molto…

  12. Signor Stefano,
    recensire una mostra non può essere soltanto la spiegazione di ciò che è esposto ma deve essere anche una lucida ed attenta analisi.
    Tener presente le opere precedenti dell’artista, il livello della galleria e poi diciamocelo pure.. in giro ci sono sin troppe gallerie che espongono lavori al limite della decenza artistica e poi vengono osannate come gallerie di tendenza.

  13. è molto bello assistere alla caduta ignominiosa del post-concettualismo idiota di casa nostra. adesso però -e mi rivolgo a tutti gli uomini e le donne di buona volontà- è il momento di far vedere finalmente qualcosa di diverso, di NUOVO (e non mi scocciate con la solita tirata che il nuovo è impossibile oggi, eh?).

  14. La ricerca del nuovo oggi non e’ impossibile, e’ meschina. Nelle arti visive poi la ricerca del nuovo risponde ad una domanda degli azionisti: consiste nel riportare il bastone lanciato dal padrone. Portarlo indietro. Rotten, non lanciare bastoni. Non rispondere a domande.

  15. Il tempo logora i commenti dell’opinione pubblica, conferma i giudizi della natura.
    Attendo speranzoso i risultati di questo lento lavorio, censore di tante promesse, assassino di tanti falsi artisti.

  16. mi rendo conto sempre più che qui bisogna ricominciare tutto daccapo. non capite neanche più che cosa vuol dire NUOVO: non furberia o ammiccameto, ma proprio N-U-O-V-O (avanguardia; sovversione; rivoluzione). dico, ma che c’é di difficile?

  17. L’avanguardia non ha nulla a che vedere col N-U-O-V-O. Provo a metterla sul sempliciotto poi pero’ continui da solo: nuova e’ anche una macchina appena prodotta.
    Ah, forse ho capito, volevi dire “inedito”? Nemmeno.
    Prova con “inqualificabile”.
    E non arrabbiarti.

  18. cara Santa, finalmente una che mi fa godere quanto leggo, non perchè non mi piace l’artista che neanche conosco, ma perchè finalmente qualcuno ha le palle di dire quello che pensa, senza filtri, senza paura che un domani, chissà quella galleria o quell’artista potrebbero ritornarmi utili. La vita va vissutà dentro il proprio lavoro con il sangue pronto a sc0ppiarti nelle vene. Rischiando di perdere,per la difesa della propria personalità e del proprio pensiero, tutto in un attimo. Cazzi duri ci vogliono non budini molli che scrivono a comando o a pagamento. Aiutiamo la santa allenza a fare pulizia c’è molta merda in giro! Ce ne fossero di altre Sante!!!

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