Capita, a volte, di incontrare nelle località decentrate eventi che si caratterizzano per una maggiore cura rispetto a quelli visibili nei luoghi centrali dell’arte. La cornice della galleria Il Chiostro di Saronno offre spazi ben organizzati, cui affianca diverse attività come incontri letterari, servizio bar, laboratori per l’infanzia dedicati alle mostre in corso. Ha presentato in quest’occasione un piacevole vernissage, con interventi del curatore, dell’artista e della gallerista, entrando a pieno titolo in un circuito artistico di buona qualità, finalmente privo di snobismo.
Sono esposti i tappeti-natura di
Piero Gilardi (Torino, 1942). Opere ottenute con il prosaico poliuretano espanso, che Gilardi presenta al pubblico da diverso tempo -le prime risalgono al 1965- riducendo man mano le dimensioni. Le immagini, colte dal mondo naturale (vegetali, sassi, alberi, conchiglie) con uno sguardo volutamente ingenuo, oscillano tra riproduzioni iper-realistiche e ostentazione di artificialità. Si attestano in generale su un’efficace piacevolezza visiva e sono caratterizzate da un’intensa e lussureggiante vivacità cromatica. È particolarmente riuscita la resa degli ambienti “locali”, come nella
Spiaggia nordica e nella
Spiaggia senegalese in cui, pur nella ricorrenza del tema, bastano pochi dettagli di colore od oggettuali per identificare con chiarezza un luogo preciso. L’opera così creata non è solo da guardare ma anche da toccare, da sperimentare sensorialmente (altrove con installazioni interattive), anche se, nella logica delle gallerie private, si trasforma inevitabilmente in “quadro” da parete, racchiuso in una teca di vetro, finalizzato alla vendita e alla conservazione. In origine, invece, il tappeto-natura rimanda alla sfera dell’effimero, che si consuma nel tempo: è noto l’interesse di Gilardi verso l’ambito teatrale e dell’happening, in cui è sottintesa la presenza completa dello spettatore, con corpo, sensi e pensiero.
L’intervento dell’artista è rivolto all’ambiente in senso esteso. Un ambiente che è insieme natura e universo tecnologico, artificiale. Il discorso non si schiera a favore né dell’una né dell’altro, neanche dalla parte dell’arte tecnologica piuttosto che della bio-arte. Non è alla ricerca di una modernità esasperata e neanche della sua negazione. Piuttosto, trova una linea di continuità. Parte dalla condizione attuale, ricca e a volte contraddittoria, in cui coesistono diversi orientamenti. L’obbiettivo è il superamento delle dicotomie, care al pensiero occidentale che, difficile da leggere nell’opera, si fa invece limpidissimo nel pensiero e nelle parole garbate e affascinanti dell’artista. La sua riflessione è sempre legata alla condizione umana, ma non in senso intimista, bensì ai temi collettivi: l’attaccamento agli oggetti, i cambiamenti delle tecnologie sulla società, sulla forma mentis e sul vivere quotidiano, l’ecosostenibilità.
Il pensiero teorico non è mai assente, a volte sembra superare l’orizzonte dell’opera; o quanto meno i singoli prodotti paiono da leggersi come fase di un’attività progettuale più ampia, oltre che spunto per uno scambio, un dialogo.
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