Era il 1972 quando cominciava l’attività della Galleria Il Cerchio, sotto la lungimirante direzione di Carlo Maria Rubboli. Dopo alcuni anni di collaborazione con autori italiani, del calibro di
Lucio Fontana, Il Cerchio sposta la sua attenzione verso la creatività statunitense.
È nel 1976 che Rubboli presenta una rassegna dedicata a nomi che oggi sono grandissimi, ma che all’epoca erano ancora pressoché sconosciuti in Italia:
Robert Indiana,
Andy Wahrol,
Sam Francis… Una scelta coraggiosa e audace in un periodo in cui si vendevano principalmente le gouache di
Guttuso e le opere di
CoBrA. L’evento fu uno shock per la cultura milanese; oggi, tuttavia, sappiamo che si era visto giusto: tutti gli autori proposti sono ospitati nei maggiori musei americani e del mondo.
Proprio l’esposizione del ’76 è ora ripresentata alla Galleria Il Cerchio, che riscopre molti di quegli artisti mai abbandonati ma seguiti nell’arco della loro crescita ed evoluzione artisti
ca. Tutti appartengono alla medesima generazione e provengono dall’eredità della Scuola di New York.
Ross Bleckner fu tra i primi a fare outing, dichiarando la propria omosessualità e la terribile malattia che l’aveva colpito. Prima di questa confessione pubblica, dipinge gabbie colorate in cui s’intravedono uccellini imprigionati; successivamente, con la libertà della sua intima espressione, gli uccelli-stella si librano in volo nella notte. Negli anni ’90, quando la piaga dell’Aids si diffonde, la riflessione sulla morte prende forma di fiori in bianco e nero. Il virus è anche raffigurato da enormi cellule colorate e contorte che spesso prendono forme angoscianti e malate. Quando le cure riescono a dare i primi segni di efficacia, i fiori ritrovano il loro sfavillante colore in un’atmosfera vitale di carnale potenza.
Di
Donald Baechler è presente in mostra un suo famoso
Teschio che, a differenza di altri della serie, sfoggia un grandissimo sorriso. Il soggetto, ora di moda e quasi abusato in campo artistico, è utilizzato con originalità e anticipo sui tempi dall’artista, che metabolizza così il proprio lutto per la perdita di una persona cara. L’idea della morte porta con sé anche accenni di speranza, come sempre in Baechler. Infatti, le sue raffinate carte collage sono arricchite da richiami all’infanzia e alla vita con disegni di bambini, giochi, gelati, pupazzetti, fiori. Questo fondo poderoso è la vera forza del quadro sul quale si dipinge di conseguenza.
Paul Morrison, invece, è un professore universitario che raffigura poeticamente solo immagini in bianco e nero, il cui centro di equilibrio è un conturbante ed estraneo particolare del tutto.
Una mostra eclettica e affascinante, che colpisce il nostro cuore palpitante e curioso, proprio come quelli realizzati da
Jim Dine: icone pop della vita e della sua euforia.