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fino al 2.IV.2005 Keith Haring Milano, Galleria Salvatore+Caroline Ala
milano
Di nuovo in mostra i lavori esposti a Milano nel 1984 negli spazi della Galleria Salvatore e Caroline Ala, allora in via Mameli. Una retrospettiva dell’ultimo Keith Haring e un omaggio alla sua grafomania pervasiva. Tra rivisitazioni e citazioni, totem e tabù…
“Non penso che l’arte sia propaganda; dovrebbe essere qualcosa che liberi l’anima, stimoli l’immaginazione e incoraggi le persone ad andare attraverso le cose. Che celebri l’umanità invece che manipolarla” Artista per tutti e per un’arte di tutti, Keith Haring ha inventato un universo di segni e di simboli a partire da un linguaggio elementare, quasi infantile, stilizzato ed essenziale. Democratico e popolare, di quella popolarità che nell’arte si traduce in comunicatività, a partire da un fenomeno isolato e contingente – l’arte dei graffiti metropolitani che ha trovato negli anni 80 la sua massima diffusione – Haring elabora un idioma comune, universale, moderno e americano ma insieme senza tempo e senza appartenenze perché capace di superare diversità e provenienze, sensibilità e culture in un’unica spontanea espressività originaria.
Keith Haring respira la cultura della New York underground, studia semiotica, si interessa alla calligrafia orientale, all’arte gestuale, sperimentando linguaggi e tecniche differenti, dal video alla performance. Quando arriva al disegno figurativo approda ad uno stile personale ma immediato in cui traduce e rielabora tutto l’universo a lui contemporaneo: conia un nuovo codice visivo, diretto come un messaggio pubblicitario, fatto di un libero fluire di figure connesse per giustapposizione, forme elementari e colori primari. Poiché l’arte è immaginazione, relazione e comunicazione ciò che conta è la circolazione del messaggio: Haring, come Warhol, si appropria del meccanismo della comunicazione di massa, della ripetitività e dell’immediatezza pubblicitaria e la combatte dall’interno per restituire potere alla fantasia individuale. Nel 1984 realizza i totem lignei rossi e gialli dalle sagome antropomorfe, sculture in ferro, anfore classicheggianti e perfino un calco in gesso del David michelangiolesco verde e arancione, tutti ricoperti dal suo segno inconfondibile. Rivisitazioni di quelli che sono i simboli della perfezione estetica e della cultura del passato in chiave moderna, vestiti dalla superficie fluorescente e sgargiante di una contemporaneità che è ai limiti del kitch.
E’ così che intorno al suo celebre radiant baby, il bambino raggiante, ritroviamo tutto l’universo pop e ipermediatico degli anni ottanta con le sue paure e la sua violenza – i robot, la droga, i dischi volanti, gli animali mutanti con il corpo a monitor e la coda a telecamera, il nucleare e l’Aids – di cui Haring morirà a trentadue anni. Ma prima di tutto ritroviamo la sua vitalità ludica e coloratissima fatta di figure annodate, abbracciate, intrecciate, di sesso, di cuori pulsanti, di libertà e gioia di vivere. Un’esaltazione dell’immaginazione, dell’energia e dell’umanità. E un’arte capace di parlare a tutti perché, diceva, “se dovevo disegnare doveva esserci una ragione. E la ragione, decisi, erano le persone”.
emilia jacobacci
mostra visitata il 19 febbraio 2005
Keith Haring
Galleria Salvatore + Caroline Ala
Via Monte di Pietà, 1 – 20121 Milano
Tel. 028900901 – Fax 0286467384 galleria.ala@iol.it orario: martedì-sabato dalle 10 alle 19
chiuso domenica e lunedì
[exibart]