“Non penso che l’arte sia propaganda; dovrebbe essere qualcosa che liberi l’anima, stimoli l’immaginazione e incoraggi le persone ad andare attraverso le cose. Che celebri l’umanità invece che manipolarla” Artista per tutti e per un’arte di tutti, Keith Haring ha inventato un universo di segni e di simboli a partire da un linguaggio elementare, quasi infantile, stilizzato ed essenziale. Democratico e popolare, di quella popolarità che nell’arte si traduce in comunicatività, a partire da un fenomeno isolato e contingente – l’arte dei graffiti metropolitani che ha trovato negli anni 80 la sua massima diffusione – Haring elabora un idioma comune, universale, moderno e americano ma insieme senza tempo e senza appartenenze perché capace di superare diversità e provenienze, sensibilità e culture in un’unica spontanea espressività originaria.
Keith Haring respira la cultura della New York underground, studia semiotica, si interessa alla calligrafia orientale, all’arte gestuale, sperimentando linguaggi e tecniche differenti, dal video alla performance. Quando arriva al disegno figurativo approda ad uno stile personale ma immediato in cui traduce e rielabora tutto l’universo a lui contemporaneo: conia un nuovo codice visivo, diretto come un messaggio pubblicitario, fatto di un libero fluire di figure connesse per giustapposizione, forme elementari e colori primari. Poiché l’arte è immaginazione, relazione e comunicazione ciò che conta è la circolazione del messaggio: Haring, come Warhol, si appropria del meccanismo della comunicazione di massa, della ripetitività e dell’immediatezza
E’ così che intorno al suo celebre radiant baby, il bambino raggiante, ritroviamo tutto l’universo pop e ipermediatico degli anni ottanta con le sue paure e la sua violenza – i robot, la droga, i dischi volanti, gli animali mutanti con il corpo a monitor e la coda a telecamera, il nucleare e l’Aids – di cui Haring morirà a trentadue anni. Ma prima di tutto ritroviamo la sua vitalità ludica e coloratissima fatta di figure annodate, abbracciate, intrecciate, di sesso, di cuori pulsanti, di libertà e gioia di vivere. Un’esaltazione dell’immaginazione, dell’energia e dell’umanità. E un’arte capace di parlare a tutti perché, diceva, “se dovevo disegnare doveva esserci una ragione. E la ragione, decisi, erano le persone”.
emilia jacobacci
mostra visitata il 19 febbraio 2005
Other Identity è la rubrica dedicata al racconto delle nuove identità visive e culturali e della loro rappresentazione nel terzo…
Il Parco Archeologico di Segesta, visitabile gratuitamente per la prima domenica del mese, presenta l’installazione di Silvia Scaringella e una…
Nel Casino di Villa Torlonia, una mostra che restituisce uno spaccato di storia dell’arte da approfondire: in esposizione, le opere…
Lungo la passeggiata sul Rio Gambis, a Cavalese fino al 29 settembre, sei grandi opere di Antonella De Nisco raccontano…
La proposta culturale della Fondazione Musei Civici di Venezia si estende nell'entroterra, trasformando Mestre in un nuovo polo culturale
Il direttore creativo Francesco Dobrovich ci racconta la settima edizione di Videocittà, il festival che anche quest’anno accende la più…