Pensi alle grotte di Lascaux, al dominio
completo e totale dell’uomo sull’immagine, al primigenio e brutale esercizio di
potere nei confronti dell’oggetto rappresentato, alla partecipazione immersiva.
All’essere, senza condizioni, homo agens. Pensi a oggi, a quasi 20mila anni di
distanza. All’evoluzione in homo ludens, alla massacrante ingordigia neuronale
delle immagini, al ribaltamento della situazione; alla prevalenza dell’oggetto
rappresentato tanto su chi lo esercita tanto su chi lo riceve; alle figure
ormai orfane, senza storia, per questo spesso senza futuro.
Ed è a questo punto che incontri Shin Il
Kim (Seoul,
1971; vive a New York) e il suo calligrafico tentativo di ricucire lo strappo, di
riportare l’uomo “dentro” – Into è infatti il titolo della personale – una
matura padronanza del suo vivere l’immagine.
Lo fa in una serie di lightbox concave, nicchie
complete di superfici specchianti che inducono la straniante dilatazione e
moltiplicazione di video a volte rallentati, a volte zoomati fino all’estrema
corporalità del pixel. Ma lo fa – a maggior ragione – nella placida levità zen
dei disegni su policarbonato trasparente applicati a specchi: piogge di
cervelli cesellati come pezzi di oreficeria; carrellate di scheletri, vere e
proprie “forme uniche della continuità nello spazio” appena percepibili, confuse
dall’ingresso assordante dell’ambiente nello sfarfallio dei riflessi. Fino
all’integrazione totale di chi guarda: che si specchia – e fin qui è banale –
ma che, soprattutto, avvicinandosi fino a evocare il contatto, produce con il
respiro il movimento della pellicola. Ed è mimetica dell’immagine, è azione: è
la ritrovata partecipazione totale di chi osserva, prima ancora di chi crea. E
quindi, per estensione, è il ritorno dell’artista alla condizione sciamanica di
medium tra la figura ancora “viva” e chi ne fruisce.
Il depauperamento semantico dell’immagine
esplode, con ironica e drammatica virulenza, in Duration to Intuition. La proiezione in loop
controllato
di spot commerciali anni ’80-’90 è filtrata da una imponente maschera plastica:
all’apparenza una trama astratta, in realtà una sequenza di parole chiave nel
fare arte di Kim. Ecco allora la volgarità dell’immagine commerciale ripulirsi
nel passaggio concettuale e tornare a vivere dall’altra parte della maschera,
in un morbido caleidoscopio di seducenti iridescenze.
articoli correlati
Shin Il Kim ad ArteFiera 2008
Un passaggio al Pigneto
In collettiva da Crespi
francesco sala
mostra visitata il 13 marzo 2010
dall’undici febbraio al 2 aprile 2010
Shin
il Kim – Into
Galleria Riccardo Crespi
Via Mellerio, 1 (zona Cadorna) – 20123 Milano
Orario: da lunedì a sabato ore 11-13 e 15-19.30
Ingresso libero
Testo critico di Cristiana Perrella
Info: tel./fax +39 0236561618; info@riccardocrespi.com;
www.riccardocrespi.com
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