All’esordio milanese, per AMT pare essere già tempo di bilanci:
Albert Pinya (Palma de Majorca, 1985) passa in rassegna la produzione dell’ultimo anno, carico della promessa dell’evento itinerante
No va mas a cura di Achille Bonito Oliva. Per l’artista autodidatta, che rinuncia all’accademia e fatica ad attendere che il colore asciughi sulla tela, la comicità è latente negli oggetti di consumo, tra icone letterarie e cinematografiche, e nei comics. Un manifesto della leggerezza pittorica in acrilico e spray, che cerca di farsi messaggio collettivo.
Con l’abbandono della profondità prospettica, le tele di Pinya forniscono un unico primo piano universale: nella frontalità trova spazio il gigantismo di immagini iconiche, forme semplici e primarie, ingoiate da un colore piatto e preponderante. Le rotondità accomodanti compensano con l’insistenza ripetitiva su soggetti tematici -l’
avión fálico, cactus erotici, nuvole, navicelle spaziali, pomodori antropomorfi e bottiglie di whisky- componendo una simbolica autoreferenziale e autonoma.
La struttura compositiva caotica e sincretica, scelta nel tentativo di soddisfare la multilateralità degli stimoli, non nasconde però il forte indebitamento con il graffitismo:
Basquiat non è solo un fantasma, è una presenza nel segno e nello stile (piccoli dentini stilizzati, occhi tondi e vuoti, nasi triangolari e la stessa calligrafia delle scritte su tela). Che diventano però puro “colonialismo linguistico” e inesperienza della citazione, mischiandosi a elementi pittorici in maturazione, non ancora riconoscibili né identificanti.
Dal punto di vista tematico, Pinya gioca su accostamenti contraddittori, “scandalosi”, cercando di liberare, a suo dire, l’energia anestetizzata della
factory. La sessualità, declinata in chiave personale e omnipervasiva, trattiene in un unico corpo frammenti di cultura popolare e commerciale. E Hello Kitty finisce per essere coinvolta in un
pissing minaccioso, sul sereno sfondo di nuvole e palle di gomma. Ma la destituzione ironica non fa altro che scivolare nella dissacrazione “giovanilistica” del villaggio globale. Forse, nella sovrapposizione continua delle fantasie, Pinya finisce per essere caotico e iperattivo, senza colpire il bersaglio.
Nell’ambizione di essere artista plastico completo assembla vecchie bambole, lattine ed eroi in plastica, dandogli forma di scultura. Spiderman e Batman finiscono a testa in giù in un secchio colmo delle gambe nude delle Barbie, mentre Superman e Goldrake trasfigurano negli
amigos dell’artista.
Contro il commercio dell’immagine artistica e alla ricerca di una contemporaneità non globalizzata, lo spagnolo guarda alle pitture murali in carbone ed ematite delle grotte di Altamira, inseguendo una dimensione alchimistica e rituale della pittura. L’ingenuo principio edonista si coniuga, infine, con una lieve carica critica, frutto del sentirsi compromesso con la cultura popolare, con il corso degli eventi, e convinto dell’utilità sociale del messaggio artistico. Contro una società decadente, ridicola, vuota nell’anima e pessima nei valori.