The Season di Gianluca Marziani nasconde un progetto ambizioso che la Galleria Pack propone al suo pubblico: sei mostre articolate nell’arco di un anno propongono undici artisti presenti con opere create appositamente per la galleria, seguiti da altrettanti curatori. Con Matteo Basilé e Jason Middlebrook si è giunti alla quarta tappa intitolata volume quattro: primordialità alchemica.
Per Jason Middlebrook (1966, vive a New York) la primordialità alchemica è la forza di trasformazione insita nella natura stessa, una forza vissuta spontaneamente dai bambini. Nel video la figlioletta dell’artista piega i cucchiaini con la forza dello sguardo laddove il padre, pur concentrandosi affannosamente, fallisce. Metafora di un’energia primordiale che non passa per i circuiti mentali della razionalità. Alla sua piccola musa ispiratrice è dedicata anche la grande scultura Violett’s infinite possibilities, assemblaggio di tanti cucchiaini piegati. In A memorabile day lo stesso motivo è innalzato a monumento, trasformandosi in una visione utopica di un futuro migliore. Middlebrook si confronta con l’inadeguatezza e le contraddizioni presenti nella condizione umana (come ad esempio con la città in fiamme in It’s gonna take a lot of love) trasformando però col suo ottimismo concetti normalmente connotati negativamente -come entropia oppure caducità- puntando sul loro enorme potenziale creativo.
Cosicché “la categoria dell’effimero non prefigura più una dimensione nichilista ma sottolinea, piuttosto, una sorta di piattaforma evolutiva capace di generare nuovi e sempre diversi paesaggi tanto esistenziali quanto mentali.” (Sabrina Zannier)
Filosoficamente accomunati da un profondo umanesimo, i due artisti di Volume quattro si contraddistinguono nettamente a livello formale. Dopo l’allegro colorismo delle tele di Middlebrook, l’ascetismo cromatico dei ritratti digitali di Matteo Basilé (1974, vive a Roma) risalta ancora di più. Isolando i suoi soggetti in un limbo diafano fatto di luce lattiginosa, il colore –dove presente– assume valenza simbolica: rosso il make-up del clown in Circus, nero gli occhi in Cromosoma Calcutta, rossi i guanti di seta del ragazzo sperduto nel groviglio di oscure radici in Mi hai ritrovato.
L’artista fotografa donne e uomini, giovani e vecchi, spesso suoi amici. Immergendoli in uno spazio assente concentra tutta l’attenzione su questi personaggi che ci rivelano la loro profonda nobiltà umana nonostante la caducità fisica. Questa essenziale verità dei soggetti di Basilé subisce però una mutazione, realizzata interponendo tra l’immagine e lo spettatore l’intervento dell’artista consistente in graffi, macchie e –citazione ambigua– (in)verosimili mosche.
Elementi che fanno nuovamente precipitare l’opera nel mondo dell’immaginario, con personaggi che incarnano “visioni ed estasi, inquietudini e sconvolgimenti, incubi e visioni. Bloccate in pose ieratiche, raccontano di una sacralità tutta contemporanea, che si riallaccia ad un’iconografia mistica antica di secoli, attualizzata per il tramite di un’estetica elettronica ed ibrida.” (Massimiliano Tonelli)
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