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Ma poi che cosa è un bacio? Un apostrofo roseo messo tra le parole t’amo”. La citazione della celebre frase del
Cyrano, ormai inflazionata da decenni di Baci Perugina, è il monumento alla banalità di una mostra che non ha nulla, ma proprio nulla, di originale. A partire dallo spunto: l’inaugurazione alla festa di San Valentino, da cui il lecito sospetto che ci si trovi di fronte a una rassegna messa giù a tavolino allo scopo, pure un poco ruffiano, di “far cassa”, utilizzando a man bassa tutti i cliché presenti nell’immaginario popolare.
Sospetto confermato: la rassegna non dà nulla di nuovo sotto il profilo scientifico, non offre novità di sorta, non propone riletture coraggiose di opere già variamente interpretate. E presenta pure cadute di stile, come la sezione con la videostory dei più famosi baci della cinematografia italiana, che sembra un loop tratto dalle tristi trasmissioni-contenitore del pomeriggio televisivo nazional-popolare.
Eppure, nelle sale del Castello, tra la sessantina di opere italiane dipinte fra Otto e Novecento, non mancano lavori eccelsi. Certo, si deve passare oltre l’intero catalogo degli sfortunati amanti, traghettatori i vari Paolo e Francesca, Lancillotto e Ginevra, Tristano e Isotta, Romeo e Giulietta e via romanticando, con risultati alterni in pittori quali
Lionello Balestrieri,
Domenico Morelli,
Giuseppe Poli,
Ludovico Cremonini,
Amos Cassioli. Opere – e anche qui, nulla di nuovo – che spesso non vanno al di là del mero storicismo oleografico.
Per salire di tono si attende l’
Attrazione (1874) di
Tranquillo Cremona, che conduce all’ambiente più stimolante della Scapigliatura, la quale restituì al sentimento una valenza privata e decisamente tormentata, stracciando le figurine Liebig.
Si passa poi alle suggestioni simboliste legate al Divisionismo, al Verismo dei macchiaioli, fino alle avanguardie. E s’incontrano via via
Le madri (1918) di
Raffaele Borella,
Gli addii (1931) di
de Chirico,
Il bacio (1931) di
Alberto Martini, fino agli estemporanei
Un abbraccio eterno (1968) di
Franco Angeli e
Make up (1973) di
Mimmo Rotella.
Peccato non aver scandagliato più a fondo le implicazioni freudiane del bacio, suggerite oltretutto da Lorenza Tornani nel saggio d’apertura del catalogo: ricerca di nutrimento, piacere, affetto, nasce nel succhiare del bimbo il seno materno, gesto-prototipo di ogni futura relazione amorosa. Le cui implicazioni, però, restano inesplorate, sullo sfondo.
Appena accennato, infine, il contrasto (oleografia già citata a parte) fra eros e thanatos, amore e morte, che s’intravede nella riproduzione fotografica de
L’ultimo bacio di
Medardo Rosso, tremenda scultura sepolcrale del cimitero del Gentilino di Milano. Altra occasione sprecata.
E come definire infine, se non sconcertante, che della celeberrima opera eponima dell’
Hayez, scelta ovviamente come manifesto, non sia nemmeno presente l’originale (che resta inchiodato in Brera)? Ci sono una copia e una versione minore, entrambe da collezione privata. Decisamente troppo poco.