Il lavoro dei coniugi statunitensi Jennifer (1968) e Kevin McCoy (1967) -lavorano insieme dal ‘96- è tra i più originali di questi anni. La loro ricerca riguarda l’analisi delle strutture di narrazione filmica e narrativa: dai telefilm degli anni 70’ ai fumetti. I sei lavori esposti sono composti da monitor, modellini in resina, lampade e microcamere. I modellini sono dei set, abitati dai pupazzetti protagonisti delle storie. I mini attori vengono filmati da diverse microcamere e le immagini inviate al monitor tramite un computer. In un tempo brevissimo vengono svelati allo spettatore tutti gli artifici del filmmaking: lo spazio visibile sul monitor si dimostra infatti ben diverso da quello del set. Le dimensioni dei protagonisti variano, ma appaiono immutate nella ripresa finale. In Double fantasy i modellini sono presentati in verticale, il cielo e la terra dei personaggi sono la nostra destra e la nostra sinistra, ma la loro proiezione sul video è assolutamente realistica. In Cloud One e Cloud Two un motore fa girare su se stesso un cilindro azzurro sul quale sono attaccati dei pezzi di bambagia; poco distante, un pupazzo apparentemente indipendente dal contesto ha di fronte a sé una microcamera.
Sul relativo monitor vediamo invece un personaggio dietro il quale, nel cielo azzurro, scorrono le nuvole spinte dal vento. Lo spazio filmico dunque non è lo spazio reale.
Ma la rivelazione più grande non è relativa allo spazio, bensì al tempo: anche il tempo filmico non è il tempo reale.
Le immagini dei modellini sono catturate costantemente dalle microcamere, ma vengono proiettate su un unico schermo con una sequenza prestabilita in modo tale da formare un racconto. Una dopo l’altra le immagini sul monitor inducono lo spettatore a dare una successione temporale agli eventi. In questo modo la semplice presenza diviene accadimento, semplici oggetti divengono cause ed effetti, la simultaneità diventa tempo. Quest’aspetto del lavoro dei McCoy determina una svalutazione del tema dello svelamento dell’artificio filmico in favore della scoperta di un orizzonte di senso molto più vasto: lo svelamento dell’artificio della realtà. La simultaneità dei set di Jennifer e Kevin McCoy parla dell’eternità delle presenze dell’universo.
Forse l’universo esiste simultaneamente, ed è l’uomo a vederlo scorrere. E’ l’uomo che impone una logica di montaggio all’eternità. Cosa ci fa pensare di vivere in una scena che è l’effetto di un’altra scena? Cosa ci fa pensare di non essere pupazzi?
davide valenti
mostra visitata il 15 giugno 2005
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