Sedici anni di arte cinese (dal dopo Tienanmen ai nostri giorni) raccontati con competenza. Con pittura, scultura e tanta fotografia. A Milano l’arte cinese contemporanea non è una novità: negli ultimi anni alcune gallerie hanno presentato esposizioni dedicate a questo tema. La mostra allo Spazio Oberdan però è la prima in un luogo istituzionale e intende offrire un panorama completo delle tendenze artistiche cinesi dal 1989 ad oggi, grazie anche ad un apparato didattico ricco ed esauriente.
Il trascorrere degli anni si avverte non tanto in mutamenti di stile, quanto nella diversità dei contenuti. La disperazione dei mesi successivi al massacro di Piazza Tienanmen è raccontata con amarezza da artisti che “per ottenere dei margini di libertà si fingono pazzi” (è la risata di un matto quel sorriso esagerato che deforma i faccioni dipinti da Yue Minjun). La successiva apertura all’Occidente e all’economia di mercato porta un nuovo smarrimento, la crescente consapevolezza che nemmeno questa sia la strada giusta per la libertà. Non è il possedere oggetti che rende liberi e felici (Wang Xingwei, The decadence and emptiness of capitalism 2), induce anzi una diversa forma di schiavitù e di perdita di identità. Al punto che Ms Lin Hong di Li Dafong è una banale ragazza in jeans e maglietta, priva di qualsiasi carattere che la identifichi come cinese (non ha nemmeno gli occhi a mandorla).
Ancora una volta tutti uguali e in divisa, anche se le nuove divise sono gli abiti alla moda imposti dai gusti occidentali.
Gli artisti si fanno portavoce di un disagio crescente. I cambiamenti sono stati troppo rapidi e difficili da comprendere. Le bambine fotografate da Weng Fen guardano perplesse le città che si popolano di grattacieli; Zhang Dali documenta la distruzione dei quartieri tradizionali, demoliti per costruire nuovi anonimi palazzoni. Si avverte il rimpianto per una Cina che va rapidamente scomparendo, quella delle tradizioni millenarie come la calligrafia che Gu Wenda continua a far vivere nelle sue opere che utilizzano capelli per riprodurre gli ideogrammi dell’alfabeto cinese (Hair Text in Fake).
Non tutte le opere sono ugualmente convincenti, diverse le tecniche, molti gli artisti presenti (circa settanta); ma nella varietà delle proposte si riconoscono alcune caratteristiche comuni: lo stile realista, la critica decisa nei confronti di un cambiamento (dal socialismo al capitalismo) che è stato velocissimo e disorientante, una grande energia creativa e la voglia di esprimersi. Pensare e comunicare le proprie idee, due attività per noi occidentali così ovvie, ma totalmente proibite in Cina nei decenni precedenti.
Forse è per quest’esigenza di raccontare che, qualunque sia la tecnica scelta, l’arte cinese contemporanea è prevalentemente neorealista, rifugge l’astrattismo e in pittura predilige figure grandi e nitide, descritte con ampi piani di colore.
Gli artisti guardano al pop americano, ma non si può negare il residuo di un’arte di regime, quella della rivoluzione culturale maoista, con le sue grandi figure sempre in primo piano. Le fotografie sono più suggestive dei dipinti esposti -alcuni davvero un po’ kitsch- e riescono a comunicare con grande efficacia le emozioni e le perplessità degli autori.
Fino ad ora gli artisti cinesi hanno tratto ispirazione dal loro presente, raccontato con coraggio e determinazione. Il rischio è che questa delusione nei confronti del capitalismo vissuto come un’altra forma di cultura di massa diventi una sorta di formula fissa, un ‘tema obbligato’ trattato senza spontaneità. Sarà interessante seguire l’evoluzione dell’arte cinese. Se, com’è accaduto in Occidente agli inizi del secolo scorso, gli artisti stanchi di portare avanti proteste inascoltate, cominceranno a rivolgere l’attenzione alla propria interiorità perdendo progressivamente contatto con la realtà.
Merita di essere citata una lodevole iniziativa: nel corso dei mesi successivi si aggiungeranno a quelle già presenti in mostra alcune nuove opere; e conservando il biglietto sarà possibile tornare a visitare più volte l’esposizione.
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Caro Chris Rotten,
ti e' arrivata la adsl??
mi dispiace molto per antonella, ma questo non è affatto TUTTO quello che gli artisti cinesi hanno da offrire in questo momento. e per fortuna. questi sono gli autori completamente occidentalizzati, sedati e resi innocui dal fottuto sistema dell'arte di casa nostra. consiglio a tutti gli interessati un giro nei distretti artistici di shanghai e di pechino, alla scoperta dei VERI ARTISTI CINESI, duri cattivi incazzati e senza speranza di ottenere un visto per venire a farci in culo qui nella bambagia.
YEAAAHHHH!!!!
mostra disinformata e composta da opere di livello inferiore, sfacciatamente copiata nella struttura da quella di ben altro livello di Berna...