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30
novembre 2009
fino al 2.XII.2009 Thomas Houseago Milano, Magazzini di Porta Genova
milano
Giganti e ciclopi si stagliano nei vasti spazi d’un magazzino. Per una galleria che ha scelto un luogo monumentale e insieme precario per mostrare la poderosa fragilità delle opere dell’inglese...
Thomas Houseago (Leeds, 1972; vive a Los Angeles) è sicuramente uno degli
scultori della sua generazione che più sta appassionando negli ultimi anni il
pubblico (soprattutto quello pagante) dell’arte contemporanea. Osservando i
suoi lavori, più che a opere del presente si potrebbe pensare a immagini fuoriuscite
dalle avanguardie o persino a bozzetti e sculture non finite che riguardano
brani della storia della scultura persino precedenti il Novecento.
Eppure, ciò che fortemente connota come contemporanei i
numerosi lavori presentati in questa personale dal titolo Ode è proprio questo libero “surfare”
dell’artista lungo le varie correnti che hanno definito la scultura nei secoli.
I suoi rimandi, i suoi ritorni formali sono assorbiti da Houseago non come
semplici citazioni, ma come strumenti per calibrare e ricalibrare la forma
umana e quella scultorea.
Entrando nei vasti e scuri spazi dei Magazzini di Porta
Genova, che già ospitarono nel 2006 il fantasmagorico zoo di Paola Pivi, ci si trova dapprima a confronto
con alcuni lavori pressoché bidimensionali: bassorilievi in compensato
verniciato con spray metallico o altre superfici di gesso con tracce di colore,
appese ai muri come maschere africane o come sculture di Hans Arp.
Ma è nella sala principale che questa “ode” alla scultura
risuona solenne e investe il visitatore: passeggiando per questo luogo che,
grazie alla presenza delle molte sculture, si trasforma in un bizzarro museo post-industriale,
sembra condensarsi in ogni opera la cultura figurativa occidentale riassunta e
suggerita da questi corpi ciclopici e dall’utilizzo brutale di materiali della
tradizione. O meglio: da tutti quei materiali preparatori alla realizzazione di
sculture come legno, gesso, tondini di metallo e anche solidissimo bronzo,
inteso però come consolidamento di forme appena sbozzate.
Talvolta poi, sulle superfici scabre di questi materiali grezzi,
si possono notare ancora i segni a matita che lasciano intuire al visitatore il
processo di creazione di quelle anatomie, come se in realtà fossero ancora
bozzetti preliminari ad altre sculture mai realizzate.
La figura antropomorfa è evidentemente centrale nell’opera
di Thomas Houseago, che attraverso questa serie di sculture sembra
ossessivamente concentrato sulla forma umana e su tutti gli strati culturali
che si sono accumulati nella storia della sua rappresentazione tridimensionale:
dai prigioni michelangioleschi alle riflessioni brancusiane sul piedistallo, ai
visi elaborati con gesti semplicissimi che rimandano da un lato al cubismo di Picasso e alla sua vena d’ispirazione più
africana, ma anche alla scultura futurista e in particolare alla figura
eccentrica ma fondamentale dello scultore americano Jacob Epstein, che proprio in Inghilterra
(patria di Houseago) sperimentò nei primi del Novecento la scultura moderna.
Spostandosi verso l’ultima sala della mostra si arriva
infine a un’imponente e solitaria scultura in bronzo, acefala, che però a
differenza delle precedenti sembra come avanzare in un movimento, in un fremito
trattenuto che dall’interno implode con uguale potenza e debolezza.
scultori della sua generazione che più sta appassionando negli ultimi anni il
pubblico (soprattutto quello pagante) dell’arte contemporanea. Osservando i
suoi lavori, più che a opere del presente si potrebbe pensare a immagini fuoriuscite
dalle avanguardie o persino a bozzetti e sculture non finite che riguardano
brani della storia della scultura persino precedenti il Novecento.
Eppure, ciò che fortemente connota come contemporanei i
numerosi lavori presentati in questa personale dal titolo Ode è proprio questo libero “surfare”
dell’artista lungo le varie correnti che hanno definito la scultura nei secoli.
I suoi rimandi, i suoi ritorni formali sono assorbiti da Houseago non come
semplici citazioni, ma come strumenti per calibrare e ricalibrare la forma
umana e quella scultorea.
Entrando nei vasti e scuri spazi dei Magazzini di Porta
Genova, che già ospitarono nel 2006 il fantasmagorico zoo di Paola Pivi, ci si trova dapprima a confronto
con alcuni lavori pressoché bidimensionali: bassorilievi in compensato
verniciato con spray metallico o altre superfici di gesso con tracce di colore,
appese ai muri come maschere africane o come sculture di Hans Arp.
Ma è nella sala principale che questa “ode” alla scultura
risuona solenne e investe il visitatore: passeggiando per questo luogo che,
grazie alla presenza delle molte sculture, si trasforma in un bizzarro museo post-industriale,
sembra condensarsi in ogni opera la cultura figurativa occidentale riassunta e
suggerita da questi corpi ciclopici e dall’utilizzo brutale di materiali della
tradizione. O meglio: da tutti quei materiali preparatori alla realizzazione di
sculture come legno, gesso, tondini di metallo e anche solidissimo bronzo,
inteso però come consolidamento di forme appena sbozzate.
Talvolta poi, sulle superfici scabre di questi materiali grezzi,
si possono notare ancora i segni a matita che lasciano intuire al visitatore il
processo di creazione di quelle anatomie, come se in realtà fossero ancora
bozzetti preliminari ad altre sculture mai realizzate.
La figura antropomorfa è evidentemente centrale nell’opera
di Thomas Houseago, che attraverso questa serie di sculture sembra
ossessivamente concentrato sulla forma umana e su tutti gli strati culturali
che si sono accumulati nella storia della sua rappresentazione tridimensionale:
dai prigioni michelangioleschi alle riflessioni brancusiane sul piedistallo, ai
visi elaborati con gesti semplicissimi che rimandano da un lato al cubismo di Picasso e alla sua vena d’ispirazione più
africana, ma anche alla scultura futurista e in particolare alla figura
eccentrica ma fondamentale dello scultore americano Jacob Epstein, che proprio in Inghilterra
(patria di Houseago) sperimentò nei primi del Novecento la scultura moderna.
Spostandosi verso l’ultima sala della mostra si arriva
infine a un’imponente e solitaria scultura in bronzo, acefala, che però a
differenza delle precedenti sembra come avanzare in un movimento, in un fremito
trattenuto che dall’interno implode con uguale potenza e debolezza.
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Houseago a Torino
riccardo conti
mostra visitata il 4 novembre 2009
dal 4 novembre al 2 dicembre 2009
Thomas Houseago – Ode
Galleria Zero… @ Magazzini di Porta Genova
Via Valenza, 2 (zona Tortona) – 20144 Milano
Orario: da martedì a sabato ore 12-19
Ingresso libero
Info: tel. +39 0236514283; fax +39 0299982731; info@galleriazero.it;
www.galleriazero.it
[exibart]
Tutto molto corretto visti i tempi di crisi. Ritorno alle origini, tanto per spazzare via certa arte concettuale un po’ imbarazzante..in questa fase. In alcuni momenti se l’artista fosse stato Marco Molinari da Pisa sarebbe tutto molto diverso. E quindi la solita necessita’ di collegarsi ad un contesto esotico, sintomo di debolezza e intelligenza commerciale. In ogni caso, anche partendo dalle opere mi sembra una delle strade migliori in questo momento. Anche se facile e poco coraggiosa. Come a dire: chessiddevefapemagna’.
Davvero una brutta mostra!
Ero andato credendo di vedere una bella mostra.
Davvero brutte sculture. Penosa imitazione delle migliori avanguardie.
Peccato.
Luca Rossi sei fritto, non come “una parte imbarazzante dell’arte concettuale”, ma come tutta l’arte contemporanea. Non avete scampo, siete tutti nella merda, la crisi vi ha spazzato via come il liquame. è l’ora del giudizio universale, non c’è neppure bisogno di aspettare il 2012. L’arte contemporanea è FALLITA! ciaooooooooo…..
Si’,sono d’accordo. Io amo friggere e non faccio altro che scrivere un misero blog.Ma vorrei occuparmi d’altro. Più che fallita, e’ finita una certa arte che propone un tipo di artigianato pretenzioso. Questa vive solo nella testa di qualche collezionista distratto o troppo stressato per pensare.
Mah ! La mostra è molto bella e fa pensare chi è abituato a farlo… Perché tutti questi riferimenti? Anche come artigianato non é male. Dipende che cosa vuoidall’artigiano (che non disturbi?)