Ne ha fatta di strada
Vivienne Westwood (Tintwistle, 1941) da quando, nel ‘71, senza un soldo in tasca ma con la grinta felina che ancora oggi le illumina lo sguardo, aprì il famoso
Let It Rock. Che cambiava nome ogni anno e che nel ‘74 fu addirittura temporaneamente chiuso dalla polizia, data l’eccessiva provocatorietà della collezione
Sex. Fu lei, insieme al compagno Malcolm McLaren, manager dei Sex Pistols, a teorizzare e realizzare lo stile punk:
“Disprezzavamo la politica ipocrita dell’epoca e volevamo dare fastidio agli inglesi. Il sesso e la rappresentazione della violenza ci permisero di ottenere subito il massimo risultato”. Le prime magliette con applicazioni le inventò lei. Zip, spille e spilloni, addirittura ossa cucite sulla stoffa; e poi catene, strappi, ecco tutto il “trash” riapparire in bacheca, poiché la moda cambia, segue l’uomo, la società. E lei ha davvero fatto la storia della moda.
All’inizio della mostra troviamo gli abiti dei primi concerti dei Sex Pistols, come quello che Johnny Rotten indossò nel live del 1974 a Parigi.
Accanto, una nota foto di lei, coi capelli biondissimi, cortissimi. Indossa la maglietta
Destroy con svastica e crocifisso capovolto, e ha il viso crucciato di chi sa scrutare il presente, lo critica e guarda già oltre, oltre la macchina fotografica, oltre l’obiettivo. Lo sguardo di Vivienne sfida, punta dritto avanti, sa dove vuole arrivare.
“Ho una sorta di orologio interno che si ribella puntualmente a qualsiasi forma di ortodossia”.
Gli anni infatti passano, lo stile si evolve, muta le sue forme. È difficile oggigiorno essere sovversivi e probabilmente la vera forma di ribellione consiste nel provare a elevare gli standard di qualità e gusto. È lei stessa ad affermarlo. Ma lo stile Westwood non cambia connotati: imprevedibile, geniale, capace di anticipare le mode o di farne una disumana caricatura, come quando nel 1982 riprese le gonne a palloncino, riproponendole però in dimensioni sproporzionate. O quando si fece ispirare nelle sue collezioni dalla moda francese del Settecento o dai tessuti inglesi.
Marcata anche l’attenzione per gli accessori, nei quali si concentra tutta la femminilità del completo. Le scarpe sono ricoperte di paillette fluorescenti, i tacchi altissimi, al punto da far crollare sulla passerella la dea nera, Naomi Campbell.
Dulcis in fundus, il visitatore troverà nell’ultima sala qualcosa che sulle passerelle di moda “non ci sta”. A riprova ultima del fatto che, per sfondare, per dare il giusto segno e la giusta direzione ai tempi che corrono, i limiti bisogna infrangerli, non rispettarli.
Visualizza commenti
Stavolta non posso esimermi dal commentare una delle mostre più emozionanti a cui ho "partecipato" negli ultimi anni. Sì. partecipato. Perchè una volta salite le scale per accedere al primo piano del'ala in cui sono allestiti gli splendidi e irriverenti abiti di mademoiselle Vivienne, non si può rimanere indifferenti. "Si partecipa" all'atmosfera di quegli anni, dei negozi e dei luoghi dove stava avvenendo il cambiamento del costume e dei valori. Una Londra come sempre sorprendente e ricca di stimoli, che andrebbe visitata almeno una volta all'anno, per conservare dentro di sè alemno un pezzettino dello spirito rivoluzionario e conservatore allo stesso tempo che la anima da secoli.Emozionante, coinvolgente e commovente. Grazie cara Vivienne.