Scimpanzè, leopardi, raganelle dagli occhi rossi. E ancora leoni africani, mandrilli, tarantole, cavallette, alligatori. No, non stiamo attraversando un giardino zoologico e nemmeno la savana, siamo di fronte all’ambizioso progetto fotografico
Creature, arrivato direttamente dallo studio newyorkese del giovane ed estroso regista, artista e pubblicitario
Andrew Zuckerman (Washington, 1977).
Cinque anni di studi, ricerche, affinamenti tecnici tradotti in una trentina di scatti: “tele bianche” incorniciate dagli ambienti essenziali di Forma, caratterizzate da una nitidezza d’immagine sorprendente, in grado di ammaliare lo sguardo, invitandolo a sondare le infinite varietà di colori e superfici originate dalla natura. Le pareti lasciano protagonisti i ritratti; l’allestimento gioca anche con la prospettiva, proponendo il dorso di una testuggine e quello di uno scarabeo rinoceronte a livello del pavimento, nel tentativo di inserirli in un contesto reale.
Le sale del Museo di Storia Naturale, visitate dal fotografo per ovviare al caldo opprimente delle estati newyorkesi, stimolano una prima curiosità nei confronti del regno animale, lì illustrato ad arte da scenografiche riproduzioni a grandezza naturale. La sua personalità vagabonda lo porta poi a esplorare nuovi orizzonti, come le isole Galapagos, dove s’imbatte in specie viventi rare e originali, che lo inducono a focalizzare l’attenzione su di esse. La sua sensibilità è infine colpita, qualche anno più tardi (sempre
on the road), dal ritrovamento di un piccolo uccellino morto sulla neve. Il corpo inerme adagiato sul manto bianco gli suggerisce lo sfondo necessario al ritratto delle sue
creature; estraniate dal loro ambiente, portano con sé il loro comportamento, carattere e personalità.
Gli animali vengono quindi progressivamente trasportati, con l’ausilio di
animal handler in alcuni casi, nel suo studio di New York e in quello di Hollywood per essere immortalati,
scoperti nell’intimo, rivelando espressioni così accattivanti che costringono l’occhio a un’analisi chirurgica delle superfici e che giustificano una contemplazione quasi tattile.
Questa perfezione ottica genera una domanda spontanea. Quanto giocano le tecniche di post-produzione e quanto l’abilità del fotografo? È Zuckerman stesso che risponde, spiegando a Exibart che ha utilizzato il fotoritocco per contrastare i colori, mentre per gestire il movimento (elemento ben più complesso) e per ottenere una così alta risoluzione ha sviluppato, attraverso una serie di esperimenti -ad esempio catturare l’effetto dell’esplosione di un liquido racchiuso in un palloncino-, una tecnica di fissaggio dell’immagine in minuscoli frammenti di tempo, tale da consentirgli di fermare veri e propri “attimi congelati”.
Sono perciò le assenze, di sfondo e di tempo, ottenute grazie alla posa, la causa della violenta comunicazione di questi volti e il veicolo che rende essenziale la relazione uomo-animale.