Lo si nota già dall’immagine scelta per l’invito. Ci si convince leggendo il nome dell’artista. Se ne ha la conferma prima di entrare in galleria, sbirciando la vetrina. Si arriva alla certezza scrutando le opere in mostra. Siamo davanti all’artista-pendolo di Foucault della nuova arte italiana. Dibattuto tra arte istituzionale e street art, non più solo
Ozmo, storica tag con cui firmava i suoi graffiti, ma neanche unicamente
Gionata Gesi (Pontedera, 1978; vive a Milano), l’artista toscano sceglie di stare nel mezzo.
Per la sua seconda personale a Milano non abbandona il muro, supporto che lo ha visto crescere per strada, ma nelle sue nuove opere lo affianca a tele e telai in pvc; non rinuncia all’amore per la logotipia, ma i marchi delle più famose multinazionali campeggiano nelle sue creazioni accanto a citazioni di
Raffaello e
Caravaggio. Nei suoi bianchi e neri unisce critica sociale e grande storia dell’arte, e lo fa con mano da maestro, con un disegno ben definito e rifinito, che tradisce gli studi artistici di giovane pittore. La sua fonte d’ispirazione non è più la realtà delle strade di periferia, ma i milioni di risorse della rete. Si trova perfettamente a suo agio con pennelli o matite o pennini o le sue stesse dita, con cui crea mondi nuovi, immaginifici e contaminati, fatti di rimandi a culture high e low. Lo si potrebbe definire un nuovo
Basquiat, ma con una forte connotazione nazionale, fatta di grande figurazione e di tradizione rinascimentale e prettamente toscana del bel disegno.
Ad accogliere i visitatori c’è una maestosa composizione, nata
in situ da due grandi tele bianche e cresciuta fino a occupare parte del soffitto, del pavimento e addirittura della parete adiacente. Un nuovo
Giudizio Universale, retto da un angelo raffaellita, che relega il Paradiso entro i confini della tela e spande a macchia d’olio l’Inferno sulle pareti della galleria. Sulla parete accanto, un altro omaggio alla storia dell’arte, questa volta contemporanea, con la reintepretazione dei
Sette peccati capitali di
Otto Dix. Fa capolino scendendo le scale una tela di “grandi” dimensioni, alquanto bizzarra: realizzata dopo esser entrato in possesso di dati ospedalieri certi, Ozmo ci propone un ritratto in scala 1:1 del Cavaliere nazionale.
Le sale sotterranee nascondono una sorpresa: due serie di disegni realizzati a matita, due analisi concettuali nate sfruttando le sfaccettature del web e le possibilità semantiche della parola. Rappresentazioni grafiche dei risultati delle ricerche con Google, immagini di vocaboli chiave della nostra società, come “identità” e “resistenza”, che diventano ideogrammi polisemici. Chiudono la mostra i disegni a china, anch’essi nati dalla doppia ispirazione di internet e dell’attualità. Foto di cronaca realizzate come illustrazioni ottocentesche, situazioni paradossali che si trasformano in rappresentazioni classiche.
In medio stat virtus, ricorda Aristotele nell’
Etica nicomachea. E Gionata Ozmo Gesi pare aver afferrato al volo l’insegnamento.