L’attuale Galleria Zero… è una catena continua, non
finita, di stanze buie. Un percorso voluto come una dichiarazione di poetica:
senza alcuna prefigurazione di termine. La nuova sede, posta all’ingresso di un
elegante cortile, è uno spazio gigantesco, ricavato dall’ex magazzino di un
centro per l’assistenza tecnica. I soffitti invisibili si alzano veloci e
verticali, per poi aprirsi lentamente, a oltre quattro metri d’altezza. Ogni
salone è un’enorme camera oscura, un contenitore grezzo che comunica con la
stanza successiva con bagliori, ombre, proiezioni e proiettori.
Momentaneamente, la luce naturale non filtra dall’esterno, l’oscurità è fissa.
Ogni fotogramma brilla ed emerge netto, inciso sulle pareti.
Chiusa nel loro antro, la rodata coppia artistica formata
da
João Maria Gusmão e
Pedro Paiva (Lisbona,
1979 e 1977) allestisce cinque video, una scultura e un’installazione.
Analogy,
the description of the world è la loro prima personale milanese, organizzata dopo la
comparsa di rappresentanza durante l’ultima Biennale di Venezia. Questa mostra,
sciorinando incredibile solidità tematica, si sviluppa attraverso differenti
racconti, discorsi tanto visivi quanto etimologici.
Chi entra in visita diventa un osservatore meditativo, un
curioso lasciato libero in un viaggio studiato, trasformandosi in un turista
spinto a caccia di similitudini.
Analogy, the description of the world è infatti un sentiero
perpendicolare che, più che inseguire il concetto di spostamento
(contemplando
un inizio verso una fine), ricerca
un’idea direzionata di movimento. Il risultato è un insieme di viste con
predilezione ipnotica e rotatoria; medesimo senso del moto, che accomuna non
solo i progetti
site related, ma anche i filmati inediti, girati in pellicola
. Mostrando un sistema di storie
sugli incastri umani,
Gusmão e Paiva si appropriano del mondo, oltre le sue dimensioni,
per restituirlo scegliendone solo alcuni pezzi, alcuni scorci imprevedibilmente
astratti.
Nella prima sala campeggiano due filmati e l’unica
scultura della mostra. I suoni dentellati dei proiettori fanno intravedere una
moneta che ruota a rallentatore, senza mai cadere né su testa né su croce,
mentre al centro della sala sembra rimanere sospesa una pesantissima fusione in
bronzo.
Liver è la copia interpretativa di una mappa etrusca, creata per vaticinare il futuro
attraverso la lettura delle viscere animali.
A seguire, come un dagherrotipo è stata installata
l’enigmatica
Motion of astronomical bodies che, rallentando l’involuzione
rotatoria della prima sala, conduce a
una
tavola imbandita, proiezione di
Fruit
polyhedron. A grandezza 1:1, frutti esotici, sbucciati come
poliedri, diventano soggetto in movimento, natura e viva e morta protagonista
di uno degli ultimi filmati della doppia personale. A conclusione resta il
filmato-reportage di un uomo, Tarciso, un anziano assottigliato dal bere e
dall’amore per una donna che ha lasciato l’unico volto umano di
Analogy, con il cuore di pietra.