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Precisione realistica, solidità di materia; e intorno come un’atmosfera di magia che faccia sentire, traverso un’inquietudine intensa, quasi un’altra dimensione in cui la vita nostra si proietta”. Così Massimo Bontempelli, in
L’avventura novecentista, riassumeva i caratteri del Realismo Magico, dandone una definizione divenuta canonica.
Neue Sachlichkeit: questa la dizione che, dal realismo, restringe topograficamente ai grandi nomi della pittura tedesca degli anni ‘20 e ‘30 del Novecento. E la restrizione non è solo topografica. Le spietate, ciniche rappresentazioni di
Otto Dix e dei maestri tedeschi sembrano rispondere al bisogno di denunciare una società in piena crisi, la società corrotta e disfatta dalla Grande Guerra, oggettivando un malessere che non può più essere intimista. Rappresentazione di una realtà violata, si potrebbe dire. E, così, questa urgenza si esaurisce, travolta dalle nuove esperienze artistiche del secondo Novecento.
Le opere degli artisti olandesi esposte a Legnano, provenienti dalla collezione del gruppo bancario ING, permettono di comprendere come invece il realismo di questi pittori, per cui è sempre meglio far seguire l’aggettivo “magico”, riesca a seguire una continuità, attraverso tutto il Novecento, come galleggiando in una realtà parallela.
Che da una lucida, asettica introspezione del reale opera una sorta di chirurgia estetica sul corpo delle cose.
Continuità avvertita dalla stessa ING, che a un primo gruppo di opere di artisti contemporanei ha sentito il bisogno di affiancare opere dei maggiori esponenti del Realismo Magico olandese degli anni ‘30 e ‘40: da
Carel Willink a
Wim Schuhmacher. Sono proprio di Schuhmacher le opere più notevoli in mostra.
Melitta in bianco (1928), schiacciata in una visione dall’alto e come dissezionata in volumi semplici, netti, impressionati nella luce metallica e rarefatta così caratteristica dell’artista. Il
Ritratto di Adine Mess (1933) instaura invece un curioso parallelismo con i dipinti di
Piero di Cosimo, dove già si poteva respirare quell’atmosfera magica sprigionatasi da una visione animistica della natura.
Dick Ket ha vissuto la sua breve vita quasi sempre rintanato nella casa dei genitori, cercando rifugio dalle sue fobie in quel senso di tranquillità offerto dagli oggetti che quotidianamente vediamo e stringiamo fra le mani. Presto, però, quegli oggetti mostrano la loro dannosa tirannia, affollando un primo piano ribaltato e asfisiante.
San Gimignano (1923), di Schuhmacher, apre la serie di omaggi all’Italia. I parallelismi con ciò che da noi andavano facendo i pittori di Valori plastici sono evidenti, ma più importanti i continui rimandi ai maestri della “pittura di luce” del Quattrocento fiorentino e di
Piero della Francesca, forse il primo “realista magico” della storia della pittura. L’immobile, gelida composizione de
La Raccolta (1953) di
Pike Koch sembra immersa nella luce tersa e gelida di Piero; mentre è un dichiarato omaggio a Piero della Francesca il
Dittico (1997) di
Anneke van Brussel.
Non mancano riferimenti alla grande tradizione del Seicento olandese, come nel
Vaso con cipolle su panno nero (2004) di
Bernard Verkaaik, impressionante per la capacità di restituire la superficie delle cose.