È proprio il caso di dirlo: filo conduttore dell’esposizione comasca, curata dal professor Luciano Caramel, è un filo. Tessuto, libero, aggrovigliato su se stesso, intrecciato, annodato a formare una cascata. Null’altro accomuna le oltre 200 opere esposte, anche perché il tema di quest’anno Libere Trame, ha permesso agli autori invitati di muoversi entro un ampio spettro di soluzioni artistiche.
La mostra può essere suddivisa in due aree, anche dal punto di vista spaziale. Nelle navate laterali della chiesa trovano posto 14 installazioni di grandi dimensioni, in quella centrale i lavori dal formato unificato di 20 per 20 per 20cm. Una girandola di soluzioni, colori e forme che ‘tradiscono’ l’internazionalità dell’evento: espongono oltre 200 artisti provenienti da 35 nazioni. È da rilevare l’originalità della kermesse comasca, unica nel suo genere in Italia, che da 11 anni offre una panoramica sull’evoluzione e le trasformazioni in atto nella ‘fiber art’.
Un saggio di come i materiali possano trasformarsi, non solo in opere d’arte, ci è offerto da Heidi Bedenknecht-De Felice. Sgargianti i suoi kimoni riecheggianti la tradizione nipponica, realizzati con materiali di riciclo, fettucce di plastica utilizzata per gli imballaggi, trasformati in nastri di polipropilene iridescenti che scivolano sul corpo dell’abito.
Impossibile non rimanere affascinati dai Cristalli di Penelope Margaret Mackworth-Praed. Si tratta di piccole fitte strutture di fili d’acciaio, delicate e allo stesso tempo impenetrabili, quasi particelle di cristalli ingrandite. E il loro potere evocativo è amplificato dall’uso di luci ultraviolette intermittenti, fondali fantastici imitativi dell’ambiente naturale, piani riflettenti; il tutto custodito in preziose ottomane broccate dischiuse dinanzi a noi. Dotata di un vibrante dinamismo è al contrario l’opera di Maria Luisa Barbera, triangoli rosso fuoco di vetro trasparente, percorsi da fili di fibra bianchi annodati che ci accompagnano verso la caduta, la disgregazione dell’opera, con elementi di vetro sparsi sul pavimento. Si prosegue poi con Hideho Tanaka, che imballa filo d’acciaio e sisal, conferendo loro il caratteristico colore giallognolo del fieno e ‘bruciandoli’ alla sommità, in modo tale da fargli assumere una colorazione brunastra. Ironica l’installazione di Shaoji Liang, che ci propone un ‘sarto’, costruito con i suoi stessi attrezzi da lavoro: rocchetti, fili, nastri da misurazione. Brigitte Amarger mette in mostra le tenebre e la luce. Ainsi soit-je: des ténèbres a la lumiére è una installazione di fibre vegetali dove i colori accesi e quasi fosforescenti del giallo dorato e del nero si scambiano vicendevolmente gli spazi campiti in una sorta di sequenza ritmica così vicina all’alternanza naturale di luce/buio. La forza dilaniante dell’attimo di tenebra sembra far sfilacciare il tessuto grezzo.
Irina Ferrando si lascia ispirare dalle tradizioni della sua terra per realizzare l’installazione Con la musica, senza schemi, senza regole, cascata di corde chiaramente evocative dell’ambiente marino ligure.
Gli intrecci sono invece i protagonisti dell’installazione di Carmen Molteni e di Filippo Falbo. Reticoli metallici per la prima, di tela dai colori dipinti e sussurrati per il secondo.
Emerge con forza la peculiarità del materiale utilizzato nell’opera di Marisa Bronzini. Il pannello, realizzato in seta, lino e cotone, è impalpabile e leggero, delicatezza confermata anche dai tenui disegni, colori fusi/sfusi, quasi diluiti sulla tela.
Al centro dello spazio espositivo, dicevamo, le opere variegate di dimensioni standardizzate. Si passa dai delicati ricami multicolor di Rosa Arena, a sgargianti carte lucide che ricordano le maioliche nostrane per la Del Bono; dalle sottili trasparenze di Paola Porta a eternità di Ludmila Goloseeva: un bijoux di lurex, incastonato in lana luccicante. Rame, zinco e alluminio per Gadea Cremaschi, gioielli preziosi per Ursula Spolwing e Sara Shahak. E ancora, le trame possono essere di pietra etrusca per Bruno Luzzani, o possono essere attualizzate attraverso l’uso di cd inseriti nel contesto dell’opera, come accade per le creazioni di Monika Engel e Isa di Battista.
Quest’anno, ospite d’onore della rassegna è Jagoda Buic. La Buic, dalmata, ha al suo attivo mostre personali allestite in ogni parte del mondo ed è una valida rappresentante della ‘textil art’. A Como è in mostra il suo Formes Blanches, monumentale struttura tessuta di sisal e lana che misura 300 per 700 cm e proveniente dal Fond National d’Art Contemporain di Parigi. La scultura è realizzata seguendo antiche tecniche di tessitura ed intreccio, ma per le dimensioni e il trattamento delle superfici e per la ricerca di un dialogo con lo spazio nel quale si evolve, nasce e si struttura, “Formes Blanches” è evidentemente catapultata nella contemporaneità.
Realizzata dunque secondo dettami tradizionali da donne croate e serbe, l’opera della Buic diviene un invito alla pace (titolo della mostra dell’artista dalmata alla Biennale di Venezia) e un riconoscimento al lavoro prezioso e sapiente di queste sue abili collaboratrici.
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