Dopo aver vissuto fino all’età di 87 anni,
Mimmo Rotella (Catanzaro, 1918 – Milano, 2006) si è spento a Milano una dozzina di mesi fa. Non prima di aver vissuto una vita artistica dal quale è stato attraversato, protagoniste quelle
affiche appese ai muri di Cinecittà. Affreschi stratificati sulla bruta urbanizzazione, che lui faceva diventare sedimenti affabulatori.
In memoriam, e in occasione dell’uscita della lussuosa monografia edita da Skira, negli spazi della Fondazione Marconi sono stati raccolti alcuni stralci della storia artistica dell’artista calabrese. 27 pezzi per riprendere alcuni temi legati ai suoi ormai celebri metodi compositivi e alle sue visioni linguistiche più caratteristiche. La mostra, realizzata in collaborazione con la Fondazione Mimmo Rotella, non presenta tuttavia un’eccessiva profondità nella collezione. Anche se di portata antologica, la rassegna prende infatti in considerazione solo alcune tappe del lavoro di Rotella, escludendo gli ultimi sedici anni di carriera, relativamente attiva e arricchita da scoperte garbate. Le opere risalgono dunque al periodo che va dagli anni precedenti al 1950 fino al 1990. Una retrospettiva che parte dalle composizioni geometriche della prima maturità (
Al tavolo di lavoro, 1946) e prosegue attraverso le nuvole poliglotte che raggiungeranno la nota forma dei
décollage (
Il cavaliere rosso, 1963), per concludersi con due grandi opere, un
blank del 1980 e un più tardo
La lezione di anatomia del 1987.
L’esperienza di camminare in mezzo ad alcuni brani o, meglio, brandelli del Maestro segna in profondità. La totale, negletta ricorrenza dei miti stralciati, dei caroselli stampati e dei motivi geometrici è la ricorrenza che continua a stancare e a nascondere la manchevolezza, il vuoto dietro la follia della parola. Un’affiche multistrato di Rotella proviene ancora dalla totale mancanza di saggezza, dalla capacità di rendere la realtà della città un’immagine senza immaginazione. Particolarmente suggestiva è la sala ricoperta interamente dai décollage “nudi”. Da quei fondi di colla da parati e frammenti di strappi che quasi sembrano avere solo un odore, tanto appaiono sciolti, senza forma e condannati a non poter mostrare il proprio colore. Come cancellazioni e ferite che non si rimarginano, questi lavori esalano la storia di un uomo. D’un artista che ha fatto del cinema, della fotografia, del mercato e della politica una tavolozza di ecchimosi. Un archivio per chi guardava a una cultura che stava sovrapponendo ai giorni della produzione le notti stanche dei ritrovi cavernosi.
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Rotella ha la forza di portare tutto in primo piano; pur scollando e reincollando le immagini le preserva evidenti presentandole arricchite con l'estro dell'armonia. Così anche la tigre appare proprio come quella di esotici racconti tanto bella da non esser neppure più pericolosa...
Elisabetta Potthoff