Markus Raetz (Berna, 1941) indaga da molto tempo i limiti della percezione visiva e l’ambivalenza di forme espressive. In questa sua ultima mostra presso la De Cardenas, si può percorrere un discreto itinerario segnato dai molti lavori recenti, diciannove in tutto: dieci sculture, due mobiles e sette incisioni.
Raetz, seguendo una traiettoria che passa dall’arte concettuale alla pop, risale ai surrealisti della “parola”, dai quali eredita il procedimento ironico e misterioso verso la realtà oltre ad una pacata ossessione per la forma femminile, sempre in filigrana, ma presente in molti suoi lavori.
Ed è proprio l’ironia intesa come “ricerca” a nascondersi dietro una delle opere più belle in mostra. Ad un primo sguardo Moulage appare come una scultura composta da due forme levigate, simili alle opere di Henry Moore. Poi, imprimendo un movimento alla base dei due elementi, questi ruotano sul proprio asse lasciando intravedere la silohuette di un corpo femminile danzante, nello spazio vuoto tra i due pezzi. Raetz con ironia dissacrante guarda alla tradizione scultorea modernista, si interroga sullo spazio dell’opera e su come elementi apparentemente esterni a questa, possono in realtà diventare un tutt’uno con il lavoro. La collocazione, l’illuminazione e l’occhio di chi la guarda non sono realtà altre rispetto l’opera, ma la colmano e la rendono sempre nuova, sempre portatrice di un piccolo mistero e di un’interpretazione cangiante data dalla moltiplicazione dei fenomeni che la circondano.
Anche nei due Mobiles presenti in mostra si può intuire l’attenzione di Raetz verso l’opera non finita, non calcolabile nel suo esito ultimo. Gli elementi leggeri e filiformi che compongono le due sculture mobili fanno pensare a lavori di Calder e di Melotti, condividendo la stessa leggerezza e la medesima grammatica formale. Sono come note, appoggiate e sospese qua e là nello spazio.
I segni ed i simboli impiegati da Raetz svelano la coscienza da parte dell’artista del linguaggio sintetico e sempre diretto impiegato a partire dagli anni 60’ dalla Pop Art che certamente ne ha lambito il percorso.
E oltre alla semplicità nel formalizzare le sue opere, l’artista conserva sempre la leggerezza e la precisione del disegno.
Dietro ogni suo lavoro c’è la costante ricerca di semplificare e portare se stessi alla comprensione dell’oggetto, come nel tentativo di fare stare su un unico foglio o in una stanza tutto il mondo. Senza però –e questo è un aspetto significativo- cedere alla tentazione di chiudere definitivamente una forma all’interno di un’unica linea. Ma come si può intendere nelle Anamorfosi, l’intenzione è piuttosto quella di imprimere nella
Si assiste perciò ad una trasformazione concettuale della scultura: spostandosi da destra a sinistra o viceversa, le solide asserzioni: Yes, No sembrano come piegarsi, sublimare il proprio significato e diventare altro. Come se il solido metallo delle altrettanto solide affermazioni diventasse liquido per un istante prima di ricostituirsi in un rovescio: Oui-Non, Yes-No, Tout-Rien…
In un percorso così ben scandito, le sette incisioni rappresentano forse la parte più debole della mostra, eccettuando il bellissimo Dix, Muhammad Ali che descrive gli esiti progettuali del suo lavoro, le altre sei incisioni svelano i punti di partenza dei lavori di Raetz più legati alla fotografia (eseguiti in collaborazione con Balthasar Burkhard) dove l’elaborazione grafica è impiegata per approfondire le componenti cromatiche e visive delle immagini bidimensionali, a volte proposte come un dettaglio sfocato, o un gioco visivo.
Ma quelli che apparentemente sembrano giochi o divertisment, sono sempre momenti di grande concentrazione su frammenti forse piccolissimi e, come Raetz dimostra, insieme giganteschi.
riccardo conti
mostra visitata il 30 settembre 2004
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curioso...
Quando ho visto la mostra di Raetz da DeCardenas non mi ha detto un gran chè. Ma dopo aver letto la bella recensione di Conti penso proprio che andrò a rivederla,
Se.