L’opera di
Emilio Tadini (Milano, 1927-2002) ha attraversato, come poche altre, la vita culturale di Milano, contribuendo all’arte e alla letteratura, prendendo ispirazione e trasfigurando eventi che ne hanno caratterizzato la storia, dal design alla moda, ai grattacieli che animeranno uno dei cicli dell’artista. Nell’ottantenario dalla nascita, la Fondazione Giorgio Marconi, con la Provincia di Milano, l’Accademia di Brera e la Fondazione Mudima, ha dedicato un’importante mostra ai primi vent’anni dell’opera dell’artista milanese, articolata in tre sedi espositive.
La Fondazione Mudima ha ospitato le opere del primo decennio, 1965-1975, quello in cui la fama di critico e scrittore cede di fronte al riconoscimento delle qualità dell’artista. Attraverso vari cicli pittorici, da
Le vacanze inquiete a
Colour and Co., passando per
Vita di Voltaire e
L’uomo dell’organizzazione, Tadini sviluppa influssi della Pop Art britannica, della pittura metafisica e del surrealismo di
Max Ernst e
Victor Brauner, iniziando a costituire un proprio mondo figurativo. Interessato più alle connessioni che ai significati, Tadini muove dall’intensa densità cromatica a forti contrasti dei primi lavori, a una rappresentazione più essenziale in cui le figure si stagliano all’interno di uno spazio vuoto. Con
Museo dell’uomo, le forme e i colori costituiscono configurazioni e sistemi di oggetti, che tendono a porsi come un universo autonomo.
Le opere del periodo successivo, esposte alla Fondazione Marconi, riprendono e approfondiscono questo tema. Elefanti, tricicli, armature, secchi, trottole sono tra i protagonisti di
Figura, in cui le configurazioni, o costellazioni, di oggetti si collocano ai margini del quadro, come violentemente allontanate da una bianca esplosione primordiale che ne costituisce l’origine, mentre ne
Il posto dei piccoli valori gli oggetti assumono l’ironica dimensione di piccole ancore etiche.
La riflessione su immagine e sistemi di segni porta come conseguenza l’introduzione di parole e lettere, mentre appaiono anche figure umane monocrome, in contrasto con il mondo colorato degli oggetti. Negli stessi anni, Tadini sviluppa un assiduo confronto con l’opera di altri artisti, ispirandosi a
Cézanne,
Klee,
Duchamp e
Renoir.
L’occhio della pittura, una grande scena corale, costituita per blocchi e ricca di citazioni e autocitazioni, è il punto d’arrivo di questo periodo, che porta alla rappresentazione della pittura come primo sguardo sul mondo, quello che scopre la lontananza e la separazione delle cose, il trauma del non poter toccare ed essere toccati. I quadri della prima metà degli anni Ottanta caratterizzano una fase intermedia. Da un lato, le opere del ciclo
Disordine in un corpo classico rinnovano tematiche precedenti, passando da sistemi di oggetti a sistemi di figure umane; dall’altro, in
Olimpo e ne
La notte, si intravedono le atmosfere, le verticali oblique e le movenze da saltimbanchi che caratterizzeranno negli anni successivi i cicli
Città e
Fiaba.
Nel complesso, si tratta di un’esposizione ricca, complessa ma ben articolata, approfondita e importante, impreziosita da un pregevolissimo catalogo. Ma non del tutto riuscita, perché rimane il rammarico di aver visto abbandonata al buio nell’aula magna di Brera, dietro a uno schermo da proiettore, l’opera più imponente e significativa che, anche a causa degli angusti orari di visita, è praticamente invisibile al pubblico. E quasi a esclusivo uso e consumo degli sguardi di qualche studente distratto.
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Nelle tele di Tadini ,grande catasto dell'immaginario, lo sfondo rigorosamente bianco ricorda il foglio della scrittura e le parole o anche le lettere isolate coesistono accanto alla figura così che scrittura e immagine possano reciprocamente potenziarsi. Infatti, se a volte la pittura pare ferita come nelle 'Mani di Renoir',dove scorgiamo una sedia a rotelle e un pennello infranto, ecco nella 'Montagna Sainte- Victoire' rifiorire appieno quel valore pittorico che rimanda a valenze letterarie. Non per nulla la montagna prediletta da Cézanne è ritratta mediante l'angolo di una tela voltata...Bisogna pur sempre capovolgere l'immagine per riscoprirla oltre i suoi limiti e così riusciremo a ricordare la montagna di Cézanne che Rainer Maria Rilke descrive nel suo 'Malte' e che poi diviene per Peter Handke motivo di narrazione, iconico specchio dell' anima.