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Stracci, cose, schizzi, pasticci: così Antonio Marras (Alghero, 1961) definisce il bagaglio che lo accompagna nel tempo, specchio di un mondo in cui l’insaziabile curiosità confluisce nella più versatile creatività. «Maria Lai mi ha preso per mano e mi ha messo nel mondo dell’arte, – spiega lo stilista, in occasione dell’antologica “Nulla dies sine linea. Vita, diari e appunti di un uomo irrequieto” alla Triennale di Milano, che ripercorre gli ultimi vent’anni del suo percorso visivo – Mi ha costretto a mostrare i miei appunti, i taccuini, i diari. Da quel momento li ho custoditi, accumulandoli dentro cassetti e casse».
Una buona occasione – quindi – per tirarli fuori, forse anche nel tentativo di mettere ordine nel caos o per dar prova della potenzialità dell’immaginario nella realizzazione di un mondo possibile, come afferma la curatrice Francesca Alfano Miglietti, inevitabilmente complice di questo “segreto condiviso”.
«Il pudore è un dono prezioso, – continua la curatrice parlando dello stilista che dal 2003 al 2011 ha diretto a Parigi la maison Kenzo, soffermandosi poi sulle difficoltà con cui ha dovuto fare i conti, lavorando faticosamente per un anno: Antonio ha paura dei vuoti, continuava ad aggiungere, togliere, sostituire».
Certamente, in questa mostra che nel titolo cita la frase che Plinio il Vecchio attribuisce ad Apelle – “nessun giorno senza una linea” – c’è tanto. Tanti rimandi dichiarati, dall’hangar di Elio Fiorucci a Buccinasco, che Marras visita da giovanissimo insieme a suo padre, ai mentori. La conterranea Lai, insieme alla quale ha realizzato il lavoro Llencos de aigua (2003), con le scritte ricamante e i vestitini appesi delle Janas (le fatine sarde che vivevano dentro piccole grotte scavate nella roccia), le cui ombre proiettate sul pavimento sembrano danzare lentamente, trasportando lo spettatore nella dimensione poetica del mito.
Ma c’è anche la matrice espressionista e irriverente di Carol Rama, gli ingombranti recinti domestici di Louise Bourgeois e il tema della memoria di Christian Boltanski. All’artista concettuale francese Marras s’ispira nella realizzazione dell’installazione Passaggio (2001), soglia che l’osservatore deve attraversare facendosi spazio in mezzo alle camice bianche, sul cui orlo sono appese campane di varie dimensioni. Il loro tintinnìo riporta a galla la memoria atavica di un mondo arcadico che coincide, forse, con un certo paesaggio sardo, rimandando anche alla sonorità contemplativa dei templi buddisti.
In Colazione da Tiffany (2006) i tipici dolci-gioiello sardi a base di mandorle e miele (meliheddas, horièddos ed altri), ricamati con glassa e perline di zucchero, con cui per tradizione si accompagnano i festeggiamenti nuziali e le ricorrenze religiose (in un’altra ala della Triennale, se ne possono vedere alcuni realizzati da Anna Gardu esposti nella mostra “W. Women in Italian Design”, mentre in un’altra sala ci sono un “telaio” e due “libri cuciti” di Maria Lai) diventano inquietanti impronte di denti.
Luce soffusa e odore di lavanda, il mistero prende a braccetto il sogno (o sarà forse un incubo?). L’invito è a guardarsi ovunque, lasciandosi catturare dalla meraviglia, sfidando ogni prevedibilità. Ecco, allora, che una serie di antiche cornici – voltate sul retro – diventano luogo di nuove sperimentazioni, ricordandoci che c’è sempre tempo per riscrivere la storia.
Manuela De Leonardis
mostra visitata il 21 ottobre 2016
Dal 22 ottobre 2016 al 21 gennaio 2017
Antonio Marras: Nulla dies sine linea
Vita, diari e appunti di un uomo irrequieto
Triennale Design Museum
Viale Alemagna, 6 – Milano
Orari: da martedì a domenica dalle 10,30 alle 20,30 (lun chiuso)
Info: www.triennale.org