Dal buio diffuso in galleria emergono le immagini e i suoni metallici dei video di
Ali Kazma (Istanbul, 1971),
Household Good Factory e
Jean Factory, in cui due diverse realtà lavorative sono messe a confronto. Da una parte, l’azienda italiana Alessi, il cui processo produttivo è rimasto legato alle tecniche artigianali, pur essendosi evoluto in laboratorio di ricerca nel campo delle arti applicate; dall’altra, una fabbrica turca che produce jeans Mavi-Erak, dove il ritmo è dettato dalla logica ferrea della catena di montaggio.
Nel primo lavoro l’attenzione è focalizzata sulle esperte mani di un operaio che modella la sagoma dell’omino in metallo, divenuto simbolo dell’Alessi, che viene riprodotta dalle macchine in migliaia di copie, accumulandosi sino a formare una distesa di figurine argentee e luccicanti. Nel secondo, le operaie donne, attraverso frenetici gesti meccanicamente ripetuti, diventano un tutt’uno con i macchinari industriali, sullo sfondo di una danza di fili colorati e di ferri da stiro che termina negli scatoloni impilati nel magazzino, con i prodotti simbolo dell’apertura verso i costumi liberalizzati dell’Occidente.
Lo stesso gioco di rimandi è creato con i video
Brain Surgeon e
Clock Master, già presentati alle Biennali di Istanbul e Lione. Nel primo, Kazma mostra le sofisticate tecniche della neurochirurgia, sviluppatasi solo di recente in Turchia, utilizzate per un intervento al cervello, che ha consentito a una donna di recuperare il movimento di un arto paralizzato, mentre nel secondo ritrae un artigiano, Recep Gurgen, responsabile dell’assistenza e della manutenzione degli orologi presso l’Ottoman Museum di Istanbul, che con la sua paziente abilità assembla un orologio francese non più funzionante del XIX secolo. Pur appartenendo a contesti completamente differenti, gli strumenti utilizzati e la millimetrica precisione dei gesti sono pressoché identici in entrambi i video.
Le trasformazioni della realtà economica, gli sviluppi della tecnologia e la sopravvivenza delle attività tradizionali si ritrovano unite in
Slaughterhouse. Il procedimento industriale, infatti, è associato al tradizionale metodo di sgozzamento degli animali secondo il metodo prescritto dalla religione islamica. L’artista, quindi, parte dalla realtà per indagarne gli aspetti fondamentali e riproporre la molteplicità del mondo attraverso il proprio punto di vista, senza alcun interesse documentaristico. Si approccia alle diverse situazioni diventando un “fantasma” e non richiedendo spiegazioni particolari per ciò che sta osservando, al fine di evitare che si crei un ambiente diverso da quello abituale a causa della sua presenza.
Kazma descrive parallelamente i progressi della scienza, la modernizzazione della civiltà e le modalità attraverso cui il senso della tradizione riesce ancora a sopravvivere, utilizzando una simbologia della ritualità del lavoro amplificata dal lirismo delle immagini. L’artista attua così la propria ricerca “
rivisitando tutti i luoghi simbolo della modernità, facendone cadere l’aspetto mitologico, per ridarci il nucleo di quella realtà che costituisce la forma positiva del nostro tempo presente”.