Con
Study, prima mostra personale dedicata
al giovane lituano
Liudvikas Buklys (Vilnius, 1984), Enrico Fornello riprende la propria
andatura espositiva a partire da una nuova piattaforma: Milano. Ad accogliere
l’organizzazione e le conseguenti attività della galleria, di provenienza
pratese, sono le pareti longilinee di Manuela Klerkx. Lo spazio di Via
Massimiano verrà infatti utilizzato solamente per ospitare le prossime due
mostre, già in palinsesto. Mentre dal mese di settembre 2010 la Galleria
Fornello si trasferirà definitivamente nei nuovi spazi di Via Farini.
Scrivere a proposito del lavoro di
Buklys diventa dunque recensire una sorta di dichiarazione di poetica, una visione
critica d’intenti che potrebbe, si spera, fungere da guida; inserendosi, anticipatamente,
nel futuro programmatico degli spazi.
In galleria, tanto la disposizione
centellinata quanto la sapiente dislocazione dei lavori colpisce chi guarda.
Study,
già
al di là delle vetrate,
incuriosisce per l’atmosfera rara e l’ancor più rarefatta concisione, qualità
poste in primo piano, per ogni dettaglio. L’inaugurazione è avvenuta in
contemporanea a quelle di tutte le gallerie di Via Ventura: da Massimo de Carlo
a Francesca Minini a Pianissimo. Ma Buklys, a qualche decina di metri di
distanza, è capace di smagare
ogni rituale d’obbligo agli opening
. L’artista lituano, infatti,
trasforma la propria personale in un rifugio teorico glaciale; un contenitore
rilucente, sospeso tra il buio della periferia (il fuori), le proprie
trasformazioni di processo (opere alle pareti) e le dilatazioni ambientali
delle luci al neon (poco al di sopra).
Study (seguendo
l’egida del proprio nome) è una
personale che mette in scena solamente
sei lavori: quattro piccole installazioni, una
fotografia e un dipinto. Attraverso questi progetti
in fieri, materiali e dimensioni rendono
giustizia a premonizioni, intenti e moventi di processi formali destinati a rimanere
irrisolti e indecidibili. Il piano di questa personale, infatti, si svela legando
una rete di processi che hanno bisogno del vuoto per sporgersi in avanti, per protendersi
verso lo spazio, aggiungendo ritmi e sintassi a un’estetica che gioca tra la finitura
e la fine dell’opera d’arte.
Buklys crea infatti installazioni
brevi, sculture estremamente complete perché sempre in bilico e a caccia d’interazione
con quel che, all’esterno, le attiva. Il linguaggio dell’artista lituano è
solido e silenzioso, ma estremamente mirato, costruito sul sistema tematico e
compositivo che accompagna la sua pratica. Materiali quali il legno vivo e il
ferro diventano supporti negletti – seppur trattati – come fotografia e
pittura: testimoni puri di forma in divenire.
Fin dalla prima sala, comunque, si
capisce che Buklys ha lavorato per pochi, solo “
For the listener, who
listens in the snow / And, nothing himself, beholds /Nothing that is not there
and the nothing that is (Wallace Stevens,
The Snow man).
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bravo enrico!!!!