“Fiori avvelenati” è il titolo ammiccante della mostra personale di Chiara Dynys (1958): una carrellata di foto-sculture di grandi dimensioni realizzate con complesse tecniche di stampa su superfici lenticolari, pensate come macchine della seduzione estetica capaci di portare in superficie prospettive multiple, dettagli che sfuggono allo sguardo, profondità ed effetti tridimensionali inattesi dall’impatto pittorico quasi impressionistico, tipo Nympheas di Monet. Le sue coppie di fiori conceptual-pop di tulipani, rose, margherite, algide orchidee bianche venate di color lillà, campi di lavanda, sono un anticipo di primavera, risolte in soluzioni formali in bilico tra apparizione e sparizione attraverso una rielaborazione tecnologica del tema classico della vanitas e una riappropriazione del primo amore dell’eclettica e indefinibile autrice: la pittura, codice ricorrente nei suoi lavori dagli esordi nei secondi anni Ottanta ad oggi. Dynys riconferma il valore scultoreo del colore, una vocazione costruttiva che ha già dimostrato in altri lavori monocromi precedenti, ma questo ciclo di opere segna una maturità espressiva sorprendente e rivela la sua autonomia da condizionamenti, mode o tendenze richieste dal mercato dell’arte che sclerotizza la sperimentazione di nuove poetiche.
Le sue coppie di fiori incastonate nelle grandi cornici monocrome, dall’appeal letale, plasmano sculture che ruotano intorno al tema del doppio e investigano sull’ambiguità e allusività della percezione. Sono fiori dai colori acidi, velenosi custodi nel mistero della bellezza, ripresi dal vero, en plein air, con dettagli riveduti e corretti, risolti in alterazioni cromatiche e nature morte mai nostalgiche, rigeneranti, che coinvolgono lo spettatore in un gioco inesprimibile di seduzione da vedere più che da raccontare.
Attenzione alle sue trappole visive, perché in questo nuovo ciclo di opere, il soggetto non sono i fiori, bensì i corti circuiti visivi, il cambio sincronico dei colori che modificano l’immagine a seconda dei nostri movimenti, del nostro posizionamento nello spazio e del nostro punto di vista. Qui nulla è come sembra e la luce che filtra dalla vetrina della galleria white-cube minimalista di Luca Tommasi che si affaccia sulla strada, assume un ruolo da protagonista. Le sue pitture–sculture racchiudono il mistero di una procedura di realizzazione elaborata in cui pittura e fotografia diventano osmotiche mediante complesse tecniche lenticolari che trasformano l’immagine smaterializzata in oggetti della visione, policromatici e monocromi insieme, in cui le cornici inquadrano e materializzano improvvisazioni e composizioni cromatiche forse ispirate a Kandinsky, con improvvise apparizioni e dissolvenze, prospettive vaganti che aprono riflessioni sulle trappole ottiche: un tema, insieme a quello del doppio, ricorrente nei lavoro dell’autrice. Anche il catalogo (Prearo Editore), è un fiore all’occhiello della mostra, da collezione, come le sensazioni che le sue opere suscitano allo spettatore.
Jacqueline Ceresoli
mostra visitata il 9 marzo
Dal 26 febbraio al 21 marzo 2015
Chiara Dynys, Poisoned flowers
Luca Tommasi Arte Contemporanea
Via Tadino 15, 20129 Milano
Orari: martedì-sabato 12-19