A volte è sconcertante quanto l’Uomo possa essere solo di fronte all’Universo. Ed è curioso quanto inesauribile sia la fonte di queste riflessioni per l’umanità stessa, fin dagli albori della cultura, occidentale e non solo. Se filosofi, poeti, letterati e artisti hanno interpretato per secoli il disagio connaturato all’uomo stesso per la sua heideggeriana finitezza, la giovanissima Daniela Cavallo (Ostuni, 1982) nell’ultimo ciclo dei suoi lavori fotografici sembra volersi allacciare, come ultimo anello, a questa catena infinita di perché. E lo fa con la freschezza assorta dell’obiettivo digitale, con la libera interpretazione di una gamma cromatica che è specchio e riflesso di un mondo interiore.
In ciascuna delle stampe in mostra a Milano, l’artista mette in scena il dramma quotidiano dell’infinita finitezza dell’essere umano di fronte all’universo, in una carrellata di personaggi spersonalizzati ma sofferenti. Molto spesso si tratta di bambini: bambini che giocano, bambini che guardano il mare, bambini che pensano. Altre volte si tratta di donne: donne immobili, donne assorte, donne morte. Come la leggendaria Ofelia (tema molto caro a un certo filone della pittura preraffaellita, drammatica e intensa), regalata all’acqua di un mare cinico e contemporaneo. Alla freddezza di un mondo che non la sa compiangere. Ma in ogni caso, grandi protagoniste delle immagini della Cavallo sono le forze della Natura. Come nelle mitologie ancestrali, il cielo e il mare appaiono come divinità immense e terribili, freddi spettatori indifferenti della quotidiana commedia umana. I cieli sono spesso gonfi di nubi allucinate e psichedeliche, minaccia non di pioggia ma di dolore. Il mare è sempre sull’orlo di una tempesta, di un omicidio, di una malattia. E ancora i prati, le rocce, i profili delle case, risultano definiti nei loro
Giocando con i contrasti, con i chiaro-scuri potenti, con le luminosità livide e accecanti, Cavallo ricrea un mondo essenziale nella sua pesantezza, e limpido nella sua irrealtà. Di fronte a tanta potenza, la presenza umana s’inserisce sullo sfondo come una figura piccina, come una misera appendice di un disegno superiore. Significativo è il fatto che i tratti delle persone non siano mai riconoscibili, mai individuati: sono colti di spalle, o con il volto rivolto al cielo, o in atteggiamenti tanto assorti da sottrarsi ad ogni possibile azione individuale. E la gamma cromatica scelta dall’artista per la scenografia è acida, fredda, surreale. Onirica come in un quadro di Salvador Dalì, assurda come in un incubo. Eppure specchio perfetto di un’angoscia interiore, di una continua domanda che non trova risposta.
Come sottolineato dalla curatrice Chiara Canali, c’è tutta la stagione romantica, nell’arte di Daniela Cavallo: c’è la siepe leopardiana, c’è il Viandante sul mare di nebbia di Friedrich, c’è la Zattera alla deriva di Gericault. Ma forse c’è anche –più semplicemente- il suo piccolo dramma personale. Che è, in fondo, quello di tutti noi.
barbara meneghel
mostra visitata il 15 marzo 2007
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Le opere di Daniela Cavallo guardano il mondo con l'occhio digitale della nostra retina. L'artificio della tecnologia ha sostitito il posto del reale. L'arte da sempre tenta di riflettere tutto ciò che le gira attorno. La Cavallo spesso si guarda attorno, ma non gli basta, vuole guardare oltre. Il tema che affronta in questa mostra sono i luoghi sacri della propria esistenza, filtrata dall'occhio sensibile della sua macchina digitale. I cieli che lei rappresenta si aprono all'orizzonte; in fondo a quell'orizzonte ci sono altri cieli ancora da scoprire. Il tentativo della Cavallo è proprio quello, cercare altri cieli, altre fonti di luce dove immergere la nostra esistenza. Ma gli altri cieli non si trovano solo lì in fondo ai nostra coscienza ma nei luoghi sacri. Quei luoghi che attraversiamo e che per troppa fretta non percepiamo. Come una strada che attraversiamo quotidianamente e che nell'autunno si riempie di foglie morte e ad un tratto uno spiraglio di luce le rianima, il colore secco s'illumina è diventa oro e gli alberi sembrano abbracciarti. Il tutto avviene in un'istante, proprio mentre squilla il telefono e non ce ne siamo accorti. E proprio quell'istante di sacralità del luogo che la Cavallo ci vuole restituire. Certo bisogna fotografarlo quell'istante. Per fortuna c'è il digitale e PhotoShop che attraverso l'occhio e la sensibilità dell'artista, rieste a ricostruirlo e restistuicelo. Le opere della Cavallo non vogliono mettere in mostra il suo piccolo dramma personale (interpretazione errata). I cieli non sono drammatici, come possono sembrare ad un occhio distratto, sono rigogliosi si luce, ricamano il senso dalla natura dentro una cornice di colori artificiali. Giocano con l'uomo che si è liberato della gravità che che gli impedisce di volare, che gli impedisce di vivere gli spazi infiniti della mente che spesso ritroviamo nel sogno. I quadri di Daniela Cavallo mostrano una realtà parallela alla nostra con l'articio del digitale che ne amplifica la percezione e apre nuove dimensioni ancora sconosciute!