Ecce Homo. Indimenticabile ostentazione di dolore della storia dell’arte occidentale. Ecco il Cristo, si intendeva. Il Dio-Uomo, umiliato, schiaffeggiato, violentato, ferito nel suo essere uomo per scelta. Eccolo a Pilato, eccolo alla morte, eccolo a voi, uomini che non l’avete capito. Con la sua corona di spine insanguinate e le mani legate dietro alla schiena. Così nacque uno dei più celebri soggetti iconografici della nostra tradizione, letto e interpretato da nomi immortali. Ma è una storia di tanto tempo fa. Quando ancora arte e cristianesimo si intrecciavano spesso inscindibilmente. Che valore avrebbe, oggi, recuperare nel senso e nell’estetica un’iconografia cristiana di tal genere? Forse, in sé e per sé, nessuno. Ma Sergio Risaliti e Gemma De Angelis Testa scelgono la via fin troppo nota della reinterpretazione, prendendo in prestito l’Ecce ostensivo senza disturbare l’Homo cattolico, sostituito, semplicemente, con l’Uomo. L’unica realtà che oggi, dopo Nietzsche e Marx, può avere un senso. Per titolare un progetto espositivo che chiama a raccolta allo Spazio Oberdan di Milano una sessantina di opere di trentaquattro artisti contemporanei prelevate da collezioni private, selezionate dai due curatori in base a una precisa vocazione. Raccontare il Dolore. L’uomo e il suo dolore. Il dolore di essere uomo. Non è difficile scomodare, come base teoretica di un progetto espositivo di questo respiro, tanta parte della filosofia e della letteratura europea dei due scorsi secoli (come ha fatto, giustamente, Risaliti nel bel testo critico pubblicato in catalogo). Dalla nietzschiana morte di Dio al male di vivere montaliano, dal Nulla strutturale heideggeriano allo struggimento leopardiano, dalla follia sistematica di Artaud alla nausea sartriana, la densità di pensiero della nostra cultura ha constato la morte clinica della fede religiosa, e di conseguenza della capacità di dare un senso, un perché, un volto all’oscillazione allucinata dell’esistenza umana. Non si può chiedere all’arte di dare risposte. Ma di porsi domande, sicuramente
Ed eccoci dunque all’interno di un percorso che raggiunge punti di alta poesia, qualche caduta di stile e molta, molta tristezza. Prendete ad esempio Adrian Paci (Albania, 1969), con la malinconia disperata e ancestrale della filastrocca cantata a più voci da una bimba e da tanti anziani. La vita che inizia e la vita che finisce, con la stessa fragilità. Prendete la desolazione bellissima dell’adolescenza rubata nei ritratti fotografici di Ingar Krauss (Berlino, 1965). Guardate l’uomo senza tempo, solo con il kantiano cielo stellato sopra di sé, e il suo dolore in sé, nel lavoro dello spiritualissimo Kiefer (Donaueschingen, 1945). E ancora il mare infinito e desolato di Hiroshi Sugimoto (Tokio,1948), il video concettuale e alienante di Marcella Vanzo (Milano,1973), la celebre riflessione culturale e femminile della Neshat (Iran, 1957). O le modelle esangui e annoiate dai perché della vita di Vanessa Beecroft (Genova, 1969).
Poi c’è il dolore fisico, quello che urla, quello che strazia le carni e lo spirito. Lo interpretano una Marina Abramovic (Belgrado, 1946) forse già vista troppe volte, la mano trafitta del nostro Cattelan (Padova, 1960), la videoinstallazione di Bill Viola (New York, 1971). Chiude il percorso un video a doppio schermo di Francesco Vezzoli (Brescia, 1971) che, dichiarando ancora una volta il suo attaccamento alla storia del cinema, parla d’amore e di morte, fino a soffocare l’ultimo filo di voce umana. Perché, evidentemente, non c’è più nulla da dire. Restano solo le decine e decine di bicchieri vuoti, in cui hanno bevuto persone più o meno famose (elencate con zelo dall’artista), di Kendell Geers (Johannesburg, 1968). Gente che è passata, e ora se ne è andata. Esattamente come l’uomo sulla terra.
articoli correlati
InContemporanea
Milano capitale dell’arte?
link correlati
www.incontemporanea.it
barbara meneghel
mostra visitata il 14 aprile 2006
Parigi continua a fare della cultura un tassello cruciale di sviluppo: l’offerta delle grandi mostre, visitabili tra la fine del…
Una rassegna di alcuni lotti significativi dell’anno che sta per finire, tra maestri del Novecento e artisti emergenti in giro…
Un ponte tra Italia e Stati Uniti: c'è tempo fino al 30 gennaio 2025 per partecipare alla nuova open call…
Ci lascia uno dei riferimenti dell’astrazione in Campania, con il suo minimalismo, rigorosamente geometrico, potentemente aggettante nella spazialità e nell’oggettualità.…
Una mostra interattiva per scoprire il proprio potenziale e il valore della condivisione: la Casa di The Human Safety Net…
Al Museo Nazionale di Monaco, la mostra dedicata all’artista portoghese Francisco Tropa indaga il desiderio recondito dell’arte, tra sculture, proiezioni…
Visualizza commenti
Ohi Gino, guarda che il fatto che una mostra abbia un tema è la ragione di esistere della stessa, si cerca di illustrare con le opere il TEMA...certo, c'è chi con la dittatura del pubblico e Pantagruel ne fa a meno, troppa fatica dare un senso compiuto a un'esposizione, ma persino quelle hanno il pretesto dell'accozzaglia come filo comune. Poi, eventualmente, si può discutere sul fatto che vi siano certi artisti invece che altri, ma essendo una mostra basata sulle collezioni di una lobby è evidente che non ci si può aspettare più di tante sorprese. In ogni caso la mostra è ben allestita, concettualmente ricca ed estremamente coerente, se proprio vuoi criticare almeno cerca di intervenire con qualche concetto.
ennesima mostra a tema, questa volta per tirar fuori dalle collezioni un po di lavori..
si salta di palo in frasca.. non si capisce perchè se c'è kiefer .. non c'è baselitz o
ontani... o clemente. si poteva chiamare ecce acquisizioni....
ti prego libera la tua scultura dal piedistallo che gli hai messo sotto i piedi. Alla Biccocca se ne stava felice con i piedi sporchi di terra invece su quell'altarino di ferro non sembra neanche una bella opera.
Grazie
tuo affezionato
a.o.