“
Taci. Su le soglie / del bosco non odo / parole che dici / umane”. La battuta più semplice ed efficace sul lavoro di
Tacita Dean (Canterbury, 1965; vive a Berlino) arriva proprio dal direttore artistico della Fondazione Trussardi, Massimiliano Gioni: il destino dell’artista britannica è insito già nel suo nome di battesimo. Tacita di nome e di fatto, silenziosa, nascosta.
Sono i suoi video a (non) parlare per lei. Perfetti nel raccoglimento della ritrovata cornice di Palazzo Dugnani, le installazioni filmiche dell’inglese trovano una forza nuova tra le stanze della dimora meneghina, tanto sfarzose quanto segnate dal tempo, immobili, immerse nella penombra della storia di cui sono state testimoni.
È l’immobilità di un danzatore ad aprire e chiudere la mostra. L’ossimoro racchiuso nei fotogrammi di
Merce Cunningham Performs Stillness altro non è se non l’omaggio del padre del balletto post-moderno al compagno di una vita,
John Cage, e ai suoi
4’33” di silenzio. I tre canali della proiezione a grandezza naturale trasformano la sala in un contemporaneo panopticon, da cui è possibile guardare l’intensa performance del coreografo statunitense, che porta all’estremo l’avanguardia di cui è tra i padri fondatori.
Silenzio, e oscurità, man mano che si procede, fra stanze più o meno ampie, in cui gli schermi sembrano sospesi a mezz’aria senza supporto alcuno, spettrali presenze dall’intenso colore di pellicole in 16mm, accompagnate dal ritmico rumore del proiettore che fa vorticare chilometri di pellicola.
La frattura tra natura e mistero, nelle sue manifestazioni più affascinanti e rare, diventa un’altra fonte d’ispirazione nelle bobine che immortalano il leggendario “raggio verde” del Sole che tramonta sul mare, e le eclissi totali, sfatando l’antica credenza che le vuole foriere di sventura.
Naturale e artificiale che si mischiano in
Prisoner Pair, storia di una pera in bottiglia, del tentativo umano di controllare la crescita naturale di un frutto, che nasce per stessa ammissione dell’artista dalla costruzione di un veliero in un vitreo contenitore.
La bottiglia riporta immediatamente all’esperienza di Tacita Dean nello studio bolognese di
Giorgio Morandi, e alle opere da essa generate, su commissione proprio della Fondazione Trussardi. Nature morte che vivono nell’essenza quadridimensionale del video, appiattite sullo schermo, svelando i segreti di un maestro. Prima di cedere il passo a un altro padre dell’arte italiana, ultimo protagonista della mostra,
Mario Merz, che regala un ritratto emozionale in un primo piano, con il lieve sottofondo della campagna toscana come unica esperienza sonora.
Se è vero, come affermato da Massimiliano Gioni, che “
l’arte trasforma gli spazi in luoghi”, Tacita Dean strappa Palazzo Dugnani da quei non-luoghi descritti da Marc Augé. Rendendolo identitario, relazionale e storico. In un’esperienza artistica che rende la città
una grande Milano.