Negli scatti inediti esposti alla galleria Suzy Shammah di Milano, Walter Niedermayr, (Bolzano, 1952), torna alle “sue” Alpi altoatesine, dopo avere fotografato i paesaggi della Svizzera e le montagne giapponesi.
Le inquadrature offrono una raffigurazione non oggettiva ma dinamica del paesaggio. I piccoli spostamenti dell’obiettivo riproducono la percezione dello sguardo umano in movimento. L’indagine dello spazio avviene svolgendo l’immagine sequenzialmente, poiché, come afferma l’artista, in questo modo “vi sono raddoppiamenti e fratture, entra in gioco l’elemento temporale, la relativizzazione”. Gli scatti appaiono discontinui, sovrapposti per creare vedute dilatate.
Attraverso piccoli cambi di prospettiva e spostamenti dei fotogrammi, l’artista costruisce una veduta che mostra i segni indelebili dell’intervento umano, in un ambiente puro ma fragile. La bellezza incontaminata e sublime dei luoghi naturali è corrotta dall’intrusione della tecnologia umana che ne modifica la morfologia. Ciononostante anche dei cavi elettrici sembrano acquistare una loro valenza estetica all’interno del paesaggio.
La concretezza del dato visuale viene abbandonata per una “concezione dinamica del processo percettivo”. L’immagine del territorio prende dunque forma attraverso la percezione soggettiva dello spettatore. Come in passato, nella rappresentazione di luoghi chiusi e ristretti della quotidianità, i riferimenti topografici concreti si stemperano, evaporando per diventare di difficile identificazione.
Nel suo approccio pittorico alla fotografia sono state riconosciute le influenze di artisti del passato come il paesaggista romantico Friedrich, ma anche di fotografi della Nuova Oggettività quali August Sander e Albert Renger-Patzsch. Soprattutto per l’attenzione ai pattern nel rappresentare oggetti meccanici e natura, oltre che per la scelta di punti di vista inusuali e di primi piani. In Le Point Trifide I, Leihrnjukur III e Neuseeland I, Niedemayr allude solo indirettamente alla presenza umana, che animava le precedenti vedute sotto forma di puntini colorati, attraverso la visione di impianti elettrici e di un pascolo di pecore. La bellezza eterea ed imponente del paesaggio è evidenziata da una luce diffusa che illumina spazi e colori.
Lo spettatore è coinvolto in un “immaginario espanso di una serie fotografica che non ha ne inizio ne fine”, in cui l’obiettivo, come l’occhio umano, coglie soltanto un “frammento di una struttura più complessa.”
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francesca ricci
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meraviglia.
e galleria sempre più seria.
k.w.l.m