Con il termine sideline, nel linguaggio corrente americano, si definisce
quel tipo di linea esterna che contiene e allo stesso tempo separa il campo
sportivo dal resto del paesaggio. Linee, bianche o colorate, che dividono chi
gioca da chi sta in panchina, chi è scelto da chi è scartato, indicando anche,
talvolta metaforicamente, la posizione imposta, da orli implacabili, a chi
sconta le colpe dell’inabilità (to be sidelined).
Sotto questo
segno (anche se non così marcato) inaugura la prima personale di Vicky
Falconer (Newcastle, 1979); una mostra breve
e ben impiantata, un progetto quasi asettico, elegantemente in nuce ma
formalmente compiuto; così come la Galleria Fornello ci ha abituati, da tempo,
a vedere. Tra ripiani bianchi di legno, lastre di vetro, cornici e riquadri
contesi tra la luce elettrica e la proiezione, la giovane artista britannica
porta leggerezza e introspezione elevandole a differenti livelli di geopoetica
degli spazi. Ogni lavoro, distinto e concatenato con la medesima energia,
rivendica una solitudine formale compiacente, autorizzando il visitatore a
compiere un percorso sul nulla, un tragitto fra l’incorporazione e la
introiezione.
Secondo Lacan, l’incorporazione
non è la
determinazione di un processo, ma si definisce piuttosto come un particolare tipo di
rapporto umano con l’oggetto che mira a far penetrare e conservare dentro di sé
l’oggetto stesso, anche se sotto forma di fantasma o di evanescenza simbolica.
Nell’arte contemporanea, l’incorporazione non è un’attività puramente orale né
altamente allegorica; la respirazione, la visione, l’audizione vengono attivati
al di fuori del corpo umano secondo paradigmi parimenti collettivi e
soggettivi.
Per Falconer, l’incorporazione è
prima di tutto un modello fisico dell’introiezione, un processo del tutto
essenziale per la costituzione della dialettica visiva che accompagna forme
geometrico-rappresentative alle casualitĂ apparenti dei materiali. Questa
scelta rimarca l’esteriore attraverso l’inclusione nel campo espositivo anche
di What could ever be sidelined (materiali di recupero e rielaborazioni di testi
pre-esistenti).
L’altro lato del confine, che
divide l’altrove dal suo opposto, per Falconer è l’introiezione. Un flusso attraverso il quale la
struttura e le sue caratteristiche (l’elemento-purezza e il colore bianco)
sottomessi al principio della stasi filtrano direttamente nell’osservatore,
identificandosi come qualcosa di buono, e andando a modificare così il confine fra chi vede e quel
che il mondo esterno lascia vedere.
Per Falconer è indicativo l’uso
della proiezione (attraverso supporto video e lavagna luminosa), strumenti
cardine di un processo dinamico che, accoppiati alla non-determinazione dei
suoi oggetti, giocano un grande ruolo nella sintassi di esclusione del reale.
Per l’artista britannica lo sfoderamento dell’esistente e del suo divenire
riguarda solo significanti strutturali, affrontando dall’interno i rapporti
dell’occhio con l’alienazione e la separazione della messa in scena.
Una ricerca di significato dunque
che riflette tecnicamente l’identificazione simbolica dello spazio con le sue
molteplici forme di in-finito. “In che modo qualcosa di bianco
potrebbe considerarsi distinto o separato dall’intera bianchezza?” (Meister
Eckhart).
ginevra bria
mostra visitata il 18 maggio 2010
dal 19 maggio al 21 luglio 2010
Vicky
Falconer – Side-lines
Galleria
Enrico Fornello 2
Via
Massimiano, 25 (zona Ventura) – 20134 Milano
Orario: da
martedì a sabato ore 14-19
Ingresso
libero
Info: tel./fax
+39 023012012; info@enricofornello.it; www.enricofornello.it
[exibart]
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perchè continuare a proporre uno standard? Giovane artista straniero con lavori assolutamente parificabili e confondibili con tutto e tutti. Leggiamo Moussocope per capire meglio. Si tratta semplicemente dell'ossessiva ripetizione di un commento e un supporto al medesimo contenuto. Solo oggi, in pochi ore, due sovrapposizioni con altri eventi:
http://www.exibart.com/notizia.asp?IDNotizia=31881&IDCategoria=204
http://www.exibart.com/profilo/eventiV2.asp?idelemento=90527
Spesso si tratta del meglio di un certo standard. Ma la reiterazione ossessiva e chiusa rende tutto mimetizzato ed inutile. Le decine di curatori, galleristi e operatori coinvolti, sembrano trovare in questo standard la scusa per continuare, per scrivere ,per mostrare. Perchè cambiano i nomi, gli artisti e le location ma le urgenze di fondo, il linguaggio, la resa formale sono le medesime per tutti. Cosa cambiava se Vincenzo De Bellis avesse curato la mostra di Cassar al Muesion..sarebbe cambiato il testo critico? Forse di poco. E perchè non mandare Kuri nell'ennesima residenza all'estero? O Falconer non poteva essere benissimo al posto di Kuri o Cassar?
Il dato di fondo è la costruzione di un esercito che si trastulla sulle medesime ossessioni...quasi feticiste. E il feticismo, come lo smart relativism è destinato ad essere fine a se stesso, a deludere. Questi giovani vedranno le loro motivazioni scemare..cosa resterà quando avranno ripetuto l amedesima opera ovunque? Quello che può formire nuove energie è solo la presenza di urgenze assolute, continue, coerenti e pronte al fallimento e al recupero...