In tempi in cui l’intellettuale di turno cita
L’opera
d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica per rimarcare la
nostalgia dell’originalità,
Ann Craven (Boston, 1974; vive a New York e nel
Maine), che non fa l’intellettuale ma dipinge quadri, distrugge il concetto di
originalità senza concedersi al kitsch. Sistemando Walter Benjamin e Hermann
Broch in un colpo solo.
Fu Broch, infatti, a sistematizzare l’estetica
del kitsch, inquadrandola nel meccanismo della ripetizione: “
L’essenza
del kitsch consiste nello scambio della categoria etica con la categoria
estetica; esso impone all’artista non un ‘buon’ lavoro ma un ‘bel’ lavoro; ciò
che importa è il bell’effetto“. Bene. I quadri di Ann Craven sono un
buon lavoro. Caratterizzati dalla ripetizione del medesimo soggetto – una
coppia di uccelli variopinti -, esemplificano una certa idea di ripetizione che
impronta di sé il suo lavoro e rappresentano da un lato una piena adesione alla
disciplina della pittura e dall’altro una teologia negativa del kitsch.
Forse la ripetizione, in Craven, è negazione del
transeunte. Reiterare ricorsivamente il soggetto serve a incarnare l’ansia
della sopravvivenza. Non tanto in riferimento alla lotta contro l’invitta
eternità disputata dal poeta dei
Sepolcri, quanto per denotare la preservazione fisica nel tempo
dell’opera d’arte individuata e singola. Unica perché mia realizzazione e
proiezione dei miei sentimenti e delle mie sensazioni.
Nostalgia dell’unicità
che Craven ha vissuto sulla propria pelle, quando un decennio fa un incendio
divampato nello studio in cui lavorava distrusse i suoi quadri.
Ecco allora che il concetto di irripetibilità viene
trasmesso attraverso un’operazione che ne è solo l’apparente antitesi: ciò che
viene ripetuto non è il quadro ma il gesto della pittura. Fisico e spirituale.
Certamente, non si può escludere l’ermeneutica della sublimazione: un evento
distruttivo ha annientato una parte di me e reiterando le opere del mio ingegno
creativo esorcizzo il trauma.
Ma non v’è alcun carattere ossessivo nelle ripetizioni di
Craven. E se fosse solo gaia levità? Anche
Giorgio Morandi dipinse per tutta la vita lo
stesso quadro, ma il retroterra speculativo poggiava su quella che potremmo
dire un po’ la metafisica della
bottiglità. E non pensiamo che Craven, ridipingendo
uccellini, voglia coglierne l’
uccellinità. Non è lo stesso campo e non è la stessa poetica.
Ann Craven è una brava pittrice: si “legga” a
fondo il film pittorico dei quattro quadri identici esposti in galleria (
Puff,
Puff) e si
osservino poi gli elementi di pittoricità contenuti negli altri due, di
dimensioni ridotte, realizzati attraverso l’accostamento di semplici bande di
colore l’una all’altra. E si passi successivamente ai sette acquerelli, in vero
un po’ leziosi – ma l’acquerello è meno potente della pittura -, che raffigurano
un micio, lo stesso micio, per rendersi edotti che l’eccellenza di un quadro
non necessariamente deriva da una contingente “bellezza”, ma dalla
sua intrinseca pittoricità.