“
Il poeta è un fingitore”, scriveva Pessoa nel 1931. Il
performer e l’artista visivo anche, aggiungiamo noi. Che si raddoppiano,
addirittura si moltiplicano. E talvolta, in estrema sintesi, si sovrappongono e
sono la medesima persona.
Benjamin Valenza (Marsiglia, 1980; vive a Losanna) è questi tre
ruoli riuniti in un solo autore, un “
centro fisso che si sposta, se è un
vero centro, restando lo stesso e diventando sempre piĂą centrale, piĂą risposto,
più incerto e imperioso” (Blanchot).
La commistione di scrittura,
reading e scultura dà vita a un’opera
plastica completamente immersa nella sua matrice letteraria e nella sua origine
poetica, dalle quali deriva un preciso obiettivo d’indagine: la mutazione dei
significati nella tradizione orale, la perdita del contenuto informativo nella
comunicazione e la malleabilitĂ dei codici culturali. In altre parole,
l’incontro labile tra soggetti.
Nel work in progress
Époopée 9 Valenza si confronta con
un’impegnativa moltiplicazione: una serie di 15 cartoline, sigillate in
plexiglas e silicone, testimonia il rapporto epistolare dell’artista con il suo
eteronomo Josef Hannibal. Due nomi, due vite, due personalitĂ ben distinte. Ed
un unico viaggio epico,
terrain vague dove Valenza diventa altro da sé senza cessare di essere
se stesso.
Benjamin e Josef si scambiano messaggi appuntati sul retro
delle riproduzioni profanate di
Piranesi e
Klein: fitti interventi grafici e minuti collage dissimulano le
autorità artistiche, lasciando intuire il meta-progetto di una storia dell’arte
fatta per cancellature. La finzione letteraria di
Époopée 9 è un’esperienza performativa
sempre aperta, un gioco linguistico che dispiega un racconto o, meglio, una
“frequentazione”, che viaggia contemporaneamente sul binario del quotidiano e
su quello del metafisico.
Le opere disseminate nello spazio espositivo alternano
valenze scultoree e installative. Ad assolvere alla funzione di vero e proprio
esergo dell’intero lavoro sui codici troviamo
Don Quixote hip, il megafono utilizzato da
Valenza nelle performance letterarie, strumento di lavoro dell’artista,
composto da un cono in ottone e da un’asta, insieme bastone d’appoggio e
scettro. Il simbolo del potere e della fragilità dell’arte, custodito in un
ingombrante fodero, diventa una scultura mobile, sempre pronta alla partenza. E
l’artista il glorioso facchino della propria arte.
L’apologia del quotidiano continua attraverso
l’assemblaggio di elementi comuni e della loro
allure virtuale. Con tre traversine in
legno di quercia e una porzione di steatite, Valenza riproduce in scultura il
simbolo dell’
hold your tongue, intimidazione in uso nella comunitĂ
clochard parigina. Non solo poesia aulica,
ma incursioni in registri bassi e codici gergali, con un’idea di new folklore
e un sentimento
di contemporaneitĂ condiviso.
Evitando il pericolo di un neoconcettuale asettico,
Valenza si affida a un’ironica
levity of tone. Dell’artista concettuale resta un
solido impianto progettuale e una grande pulizia formale, declinata però in una
versione piĂą accogliente e dalle forti inflessioni ludiche. Un lavoro artistico
semplice e dichiarato, senza trappole né nascondigli.
Visualizza commenti
Al di lĂ dell'allestimento straruffiano. Bastaaaaa. Il corno mi sembre uno spunto ottimo. Un'opportunitĂ di aprirsi alle metropolitane,alle chiese e alle case altrui.