Christiane Beer (Plauen, 1965; vive a Monaco e Milano) torna con la
ieraticità che le è familiare e con l’esattezza che la contraddistingue. Torna,
come fanno luogo e tempo quando si limitano. Come
Ortzeit, bianco su bianco, titolo della sua nuova personale, che
dedica il proprio ritmo allestitivo a svelare le regole del segno.
Dopo l’ultima mostra organizzata
a Seregno, Beer varca le soglie della Galleria Fabbri con il silenzio
che le è di rigore. Frammentazione, regolaritĂ , determinismo e soggettivitĂ
rettilinea contraddistinguono l’inaugurazione di questa nuova galleria
ambrosiana, completamente incisa dall’imprescindibilità mirata del minimalismo.
Le sculture presenti, progetti principalmente di grandi
dimensioni disposti tanto a parete quanto a terra, sono costituiti da piĂą
elementi modulari. Ciascuno dei componenti, accostati e realizzati in cemento o
ceramica, è dotato di precisioni istantanee e di geometrie imposte,
caratteristiche che scandiscono implacabili le proporzioni dei volumi, rendendo
indecifrabile il linguaggio dell’imperfezione.
L’ordine concettuale dimostrato da Beer si rispecchia,
senza sosta, lungo tutta la mostra, tagliando le superfici acrome e traslucide
di angoli e aree. Il desiderio di dominio formale intrappola qualsiasi altra
deformazione inflitta alla gravitĂ . Mentre la presenza radicale di fratture e
ombre fa emergere la materia-scultura come indubbio veicolo di conoscenza.
Spazio continuo, linea insolubile e forma assolutizzata
tagliano al contrario gli spazi della Galleria Fabbri, esponendoli alla
rapiditĂ della luce. Ogni sala, infatti, ospita il vuoto come campo di
movimento, teatro di enormi pendoli invisibili. Scolpire per Beer significa “c
reare
una posizione, stando nelle circostanze storiche, ma anche esperienza e
pensiero soggettivo. Una posizione che oscilla tra immaginazione classica e
romantica. Da una parte l’attrazione per l’idea, l’astrazione, la verità , il
nulla, la struttura, e dall’altra l’esperienza diretta, la soggettività ,
fisicità , sensualità ”.
Ma
Ortzeit non
ammette dialoghi né compulsioni improvvise. Sono permessi solo aforismi
astratti.
Ortzeit si colloca nel
momento, laddove le coordinate di spazio e tempo diventano orizzonte lucido e
perpendicolaritĂ veloce. Laddove la purezza viene trasmessa dalla proiezione di
passato e presente, verso le estremità del futuro. Laddove l’infinito è
sconosciuto alle manie del tempo. Laddove lo spazio emerge come
Luogo,
un parallelepipedo inscalfibile di cemento grigio, che dĂ il primo benvenuto
all’ingresso.
Intorno, tre sculture verticali bianche, in ceramica
sintetica, cauterizzano le pareti bianche della stanza. Mentre
Vertikal, Konstellation e
Placing regolano ritmi e ombre, spartendosi
il movimento e stabilendo l’ossatura dell’allestimento. Infine, nella stanza
successiva,
Minimal I, II
e III, Horizont,
Racconti e
Oscillanti proseguono il
discorso su un luogo che, in via definitiva, elude ogni ticchettio di lancetta.