“
Distruggere il culto del passato, l’ossessione dell’antico”: questo intimava il primo punto delle “Conclusioni” del
Manifesto della pittura futurista (1910). Un “largo ai giovani temerari” firmato dai grandi del movimento centenario. Ma pochi anni dopo il caotico frastuono avanguardistico (quello futurista in prima linea), l’arte sentì l’esigenza di un “ritorno all’ordine”, ri-scoprendo un gusto pittorico classico, puro, armonioso.
Sotto lo stesso tetto di
Filippo Tommaso Marinetti e compagni, nella fervente cornice artistica milanese dei primi del secolo, nacque il Novecento italiano, esattamente nel 1922, coordinato dal critico Margherita Sarfatti. Movimento eterogeneo, Novecento annoverò tra i suoi artisti
Sironi,
Balla,
Carrà,
de Chirico,
Casorati e molti altri, tra cui Achille Funi e Pompeo Borra, a cui la Permanente ha dedicato una bi-personale antologica.
L’opera di
Pompeo Borra (Milano, 1898-1973) racconta frammenti di realtà proiettati in una dimensione onirica, senza tempo, in un’atmosfera calda, dorata, aulica; le sue tele destarono l’interesse di Franz Roh, teorico tedesco del Realismo Magico. Quella di Borra è una vera costruzione della figura umana attraverso forme geometriche, che mediante la sua “architettura pittorica” conferisce senso di stabile pacatezza ai soggetti. Le sue giovani donne (ha una predilezione per il ritratto femminile) sono moderne veneri senza sorriso, che prendono pieno possesso dello spazio della tela; con la loro compostezza statuaria sono imponenti come colonne doriche e comunicano giunonica saggezza.
Nel corso della sua evoluzione, la pittura di Borra si rende più sintetica, geometrica; il colore diventa strumento simbolico in chiave espressionista, ma la fedeltà al reale resta la medesima degli anni ‘20. Anche nel genere del paesaggio l’artista struttura situazioni meditate, frutto di un lungo studio compositivo, che ne sacrifica il folcloristico vociare tipico dei borghi, conferendo una certa ingenua staticità alle scene.
Addentrandosi nella mostra sarà facile intuire le amicizie (o le fonti ispirative) dell’artista: de Chirico;
Cézanne per le nature morte del 1920, ad esempio; o
Morandi per quelle composizioni di vasi ai limiti dell’astrazione; poi
La Danza di
Matisse per i
Nudi del 1938; e
La Cavalcata del 1948, esotica citazione decorativa dell’artigianato mediorientale.
La stessa sensibilità costruttiva di Borra contraddistingue la ricerca del collega e amico
Achille Funi (Ferrara, 1890 – Appiano Gentile, Como, 1972), genio innovatore (con Sironi) dell’arte del XX secolo. È un classicismo modernissimo quello delle sue figure, di leonardesca memoria, come in
Una persona e due età (1924). L’artista abilmente conferisce un tono malinconico e assorto ai suoi personaggi, privati di una collocazione temporale. Boschi e nature morte cezanniane, eleganti nudi classici e qualche intromissione simbolista perfettamente riuscita (
Nudo sulla spiaggia con conchiglia, 1952) sono tra i soggetti più cari all’artista.
Ma meritano altrettanta attenzione i quattro cartoni preparatori per interventi murali, collocati nella seconda sala, splendido elogio del Rinascimento, aggiornato dall’originale tratto di un artista per cui “
la tradizione si fa, non si imita”.