Uno dei primi appassionati d’arte etnica fu
Max Ernst. Non appena riusciva a vendere qualche sua opera, si precipitava ad acquistare antichi monili degli inuit o delle popolazioni africane e australiane. Peggy Guggenheim, sua compagna, soffriva quasi d’una forma di gelosia per questa collezione. Quando Ernst se ne andò, nel 1943, portò con sé tutti i pezzi che gli erano cari, lasciando la casa desolatamente vuota.
Così, poco a poco, Peggy riacquistò la collezione, per ragioni sentimentali ma forse anche economiche, visto che negli anni ’30 le opere d’arte contemporanea erano costose, mentre l’arte etnica era più accessibile. Peggy amava abbinare i pezzi d’origine africana alle opere d’arte in suo possesso, e si faceva spesso fotografare accanto a questi trofei esotici nel suo splendido Palazzo Venier dei Leoni. Il dettagliato catalogo della mostra offre un elegante corredo fotografico in merito.
L’esposizione propone veri e propri gioielli. Sculture, anche di grandi dimensioni, rese meravigliose dal minuzioso restauro del Laboratorio di conservazione e museotecnica del Museo delle Culture di Lugano, che le ha portate all’antico splendore, riuscendo a “ringiovanirle” di diversi anni.
È così possibile ammirare ogni dettaglio, anche le decorazioni più minute che si trovano sul retro di statue e totem.
L’imponenza e la ieraticità di molti oggetti, soprattutto quelli australiani, ne suggeriscono l’originaria funzione sacra. Sono sculture votive, immagini che rappresentano divinità e incarnazioni degli spiriti degli antenati.
La mostra è completata da altre interessanti collezioni, appartenenti alle raccolte civiche del Castello Sforzesco. Ezio Bassani si è dedicato alle maschere africane, che ha studiato in relazione alla loro influenza sull’arte del Novecento; Federico Balzarotti ha raccolto tessili pre-ispanici e antichi scampoli di tessuti, finemente dipinti e decorati con motivi geometrici; Enrico Pezzoli ha salvato dalla fusione molti bracciali-moneta africani in metallo; Aldo Lo Curto, apprendendo l’arte della guarigione dagli sciamani, ha ricevuto in dono gli ornamenti propiziatori plumari che erano utilizzati nei rituali di cura in Amazzonia.
Un percorso espositivo vario ed eterogeneo, dunque, che racchiude in sé la volontà di nobilitare e rendere onore alle culture extra-europee attraverso uno spirito critico e scientifico attento e rigoroso.