Un libro del 2006 del francese Jean-Louis Missika, specialista dei media, s’intitola
La fine della televisione. Se sia vero che siamo al canto del cigno per l’epocale elettrodomestico non si sa (anche se Youtube è ormai il sito dalla crescita più alta e uno dei più popolari in assoluto nel mondo, e pay-per-view e video on-demand guadagnano sempre più privilegi), ma l’albanese
Helidon Gjergji (Tirana, 1970; vive a New York) è senz’altro dell’idea.
L’artista si interessa da anni ormai al rapporto fra televisione e realtà, oltre che a quello fra televisione e pittura. La sua
Silica (2007), installazione già esposta al padiglione albanese dell’ultima Biennale di Venezia, viene oggi ripresentata in versione più contenuta da Rossana Ciocca, ed è un vero e proprio epitaffio. Si tratta di un angolo fra due pareti della galleria invaso da una montagna di sabbia, a creare un deserto in miniatura. Fra le dune sono affondati cinque monitor piatti, verticalmente, a sparire per metà sottoterra.
Gli schermi sono accesi e mostrano sequenze pubblicitarie dai colori saturi, a volte con interventi visivi, come filtri che ne confondono il contenuto, rendendo le immagini più astratte. È un piccolo cimitero, un monumento a una cultura decaduta, che tuttavia agonizza istericamente nell’insensata violenza delle proprie immagini frenetiche. L’uso dei monitor ricorda le sculture di
Nam June Paik e l’accostamento tra l’opacità organica della sabbia e l’asetticità traslucida dei monitor è un piacevole contrasto sensuale.
In un’intervista a “Uomo Vogue” del maggio-giugno 2007, l’artista racconta che “
la tv è la summa formale della storia della pittura: l’aura di quest’ultima viene sostituita dal potere ipnotico del movimento e della ripetizione seriale”. E in un’opera del 2003,
Action TV Painting, il riferimento pittorico era letterale: una tela filtrava la visione di una parete di schermi tv, ciascuno sintonizzato su un canale random. Lo spettatore poteva cambiare gli schermi per mezzo di appositi telecomandi, con un gesto orizzontale che evocava il dripping di
Jackson Pollock. La casualità è infatti un aspetto importante nel lato pittorico dei lavori di Gjergji.
L’artista albanese non sorvola sul ruolo ingannatore che il mezzo televisivo ha rivestito nel proprio Paese, dal quale moltissimi emigranti si sono imbarcati verso l’Italia inseguendo miraggi di telequiz e benessere. Nelle opere
Hawaii (2004) e
Banco d’Albania (2006), già esposte in Italia nella stessa galleria e allo Spazio Symphonia, Gjergji rifletteva sulle fraudolente promesse della scatola magica, ma è solo in
Silica che ne sancisce una seppur ambigua morte.
Oggi l’installazione viene presentata insieme al video
The Blue Danube, nel quale una microcamera viene spinta attraverso un tubo di scarico sulle note del famoso brano classico, e ad alcune altre opere.