Biografie visive collassate su se stesse. Quattro strati di decostruzione che ammassano l’uno sull’altro la vita, la parola scritta che la racconta, la forma-quadro e il ritratto come impressionistico riassunto.
Tania Pistone (Catania, 1969; vive a Torino e a New York) compie questa operazione usando strategicamente la didascalicità e la narrazione, ma superandole e annullandole con grande efficacia. Realizza una mostra “concept”, come scrive Luca Beatrice in catalogo. E determina la svolta decisiva nella sua poetica.
Applicarsi a un tema permette spesso, per paradosso, di quadrare il cerchio della forma. In questo caso, riassumere le vite di personaggi famosi, applicando su tela pagine scritte, lettere e libri, conduce Pistone a una rilettura originale di temi decisivi quali il modernismo, la rottura della forma-quadro tradizionale e l’astrazione.
I personaggi prescelti sono legati dal viaggio, inteso come spostamento fisico o più spesso come desiderio di prendere il volo con la mente. E buona parte della riuscita della mostra dipende dall’entusiasmo dell’artista, lo stesso che ognuno prova quando pensa ai propri “miti”. Elencando i personaggi che si ammirano si dice molto di sé, componendo un autoritratto, come scrive ancora Beatrice. Ed è anche per questo che nella “galleria” della Pistone spiccano opere dedicate ad artisti contemporanei, come il “camminatore”
Richard Long e
Not Vital, oltre a quella su Camille Claudel. Quest’ultima è rappresentata dalle lettere che scriveva dal suo internamento psichiatrico, lettere a cui nessuno ha mai risposto. Affastellate sul pezzo migliore della mostra diventano una seconda pelle della scultrice francese, lacerata e vergine al tempo stesso.
Prende la forma di una stele l’opera dedicata a Ezra Pound, mentre la tela sagomata su Marco Polo raggiunge l’acme della ricerca metapittorica. Una copia sigillata, e perciò illeggibile ma intuibile, di
Elogio della follia “ritrae” Erasmo da Rotterdam; la figura di Shei Shonagon, moglie dell’imperatore giapponese Ichijo, emerge da un fondo indistinto di opulenza bizantina; il volto di Hemingway è sostituito da un amo da pesca; la scienziata e filosofa Ipazia è rappresentata da un cerchio di conchiglie rotte, al cui interno il dolore supera il kitsch della sua rappresentazione e torna se stesso.
Il modo migliore per fruire le opere è il più istintivo: provare a leggere i frammenti letterari che s’incrostano sulle tele. Dopo la frustrazione dell’illeggibilità si passa al puro impressionismo verbale-visivo ed emergono parole sparse, che fluttuano nello spazio tra il quadro e l’occhio. Nel caso di Camille Claudel, ad esempio, può capitare di cogliere la triade “vita-energia-fallimento”. Anche da ciò si coglie uno dei risultati migliori della mostra, ovvero il fatto di coniugare razionalità semiconcettuale ed emotività. Un’accoppiata in cui il primo termine permette al secondo di non scadere nel romanticismo.