In
tempi recenti abbiamo appreso che, per organizzare una mostra sul Nouveau
Réalisme, è necessario prendere le opere degli artisti più famosi del movimento
– Arman, Cesar, Klein, Christo e l’immancabile Rotella – ed esporle senza
considerare la loro cronologia, e poco importa se si tratta di opere eseguite
svariati anni dopo la decretata morte del movimento.
Ecco
il motivo per cui si rimane sorpresi dalla cura e dall’attenzione con cui è
stata organizzata la mostra alla Galleria Agnellini. Ormai abituati a una certa
disinvolta superficialità, non ci si aspetta nemmeno più quel minimo di rigore
filologico che dovrebbe essere la costante di qualunque rassegna.
A
Brescia sono esposte opere di grande qualità, quasi tutte prodotte negli anni
più importanti della storia di questa neoavanguardia. Non manca nessuno dei
primi otto firmatari del manifesto del movimento elaborato dal grande critico
francese Pierre Restany, né degli artisti che si sono aggiunti successivamente.
I
nouveaux réalistes sono
consapevoli della difficoltà di affermare le istanze critiche dell’avanguardia
all’interno di una società dello spettacolo e dei consumi capace di fagocitare
e standardizzare qualunque impeto rivoluzionario. Si muovono perciò in
direzione di una estetizzazione della realtà, capace di attuare nel medesimo
tempo una critica, non tanto del sistema dell’arte, come aveva fatto
Duchamp, che rimane un riferimento fondamentale del
gruppo, quanto della società nel suo complesso. L’equazione “
Nouveau
Réalisme=Nuove percezioni del reale”,
presente nel manifesto del 1960, è la chiave di volta che permette ad artisti
molto diversi tra loro di riconoscersi in un unico movimento. E il carattere
eterogeneo dei contributi dei suoi esponenti costituisce uno dei punti di forza
del gruppo, come si evince dalle opere esposte.
Se
l’accumulo di caffettiere, chiodi, pettini, ferri da stiro, chiavi e altri
oggetti protetti da teche di plexiglas, immersi nella resina o liberi di
interagire con lo spazio circostante, rappresenta l’apporto di
Arman,
Christo è presente con una serie di imballaggi, di cui alcuni su tela,
Raysse con un assemblaggio e un acrilico su carta,
Niki
de Saint Phalle con una delle sue
inconfondibili sculture e un disegno realizzato con
Tinguely, del quale sono esposti un altro disegno e due
sculture, di cui una cinetica.
All’appello
non mancano i
tableau di
Spoerri e i décollage di
Villeglé,
Rotella,
Dufrêne e
Hains, che è presente con
altre due opere realizzate su legno dipinto. Un tessuto con corde e metallo e un
assemblaggio di tessuti è il contributo di
Deschamps.
Irrinunciabile
la presenza di
Yves Klein, con
quattro sculture e un’antropometria. Al centro della sala fanno capolino
quattro opere di
Cesar, tra le
quali una compressione e una rara espansione del ’68, frutto di una performance
realizzata in Belgio.
A
suggello della mostra, una tela realizzata appositamente da Villeglé con i nomi
degli artisti del movimenti scritti con l’alfabeto socio-politico dell’artista.
Immancabile la visita per i delusi dalla mediocre mostra al Pac di Milano dello
scorso anno.